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Perché l’Occidente è una società di bambini

20:10 - November 22, 2021
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Iqna - Nella società occidentale moderna sembra quasi che l’individuo sia dominato dal rifiuto di far crescere, e quindi dover abbandonare, il fanciullo che vive dentro di esso, potendo rincorrere così un’esistenza fondata sulla perenne spensieratezza dissoluta, sulla spasmodica ricerca del piacere materiale e sul vivere secondo la formula: “è bene tutto ciò che soddisfa i miei capricci” ed “è male tutto ciò che vuole limitarli”

Perché l’Occidente è una società di bambini

 

Società di bambini, espressione forse forte, ma motivata. Lo scorrere della storia umana può essere immaginato come un cammino verso l’evoluzione, materiale e spirituale dell’uomo. In questa prospettiva, diventa possibile concepire le civiltà che sorgono e tramontano nelle diverse epoche storiche come delle tappe di avvicinamento, oppure di allontanamento, rispetto allo scopo superiore di Progresso dell’umanità.

La corruzione della volontà erode le civiltà

Analizzando queste civiltà che si affiancano e succedono nella storia, si può notare come esista sempre una diffusa volontà agente, uno “spirito del tempo” che pervade l’intera società e la guida, o intende guidarla, a torto o ragione, in direzione del suddetto Scopo. Alcune si caratterizzano in maniera evidente per l’onore e la forza, o per la dignità e il rigore morale, altre per la permeante religiosità, oppure per un forte attaccamento verso la propria genesi e le proprie tradizioni. Nelle primissime forme di associazione umana, nelle civiltà più primitive, l’unico scopo verso il quale l’uomo comprensibilmente tendeva era rappresentato esclusivamente dalla pura sopravvivenza: vigeva la legge del più forte come sola e unica legge, ed era dunque la violenza a dominare la scena. Con il progredire dell’evoluzione sociale, l’essere umano, assicurandosi anzitutto la sopravvivenza, si è poi via via preoccupato di focalizzare in modo crescente l’attenzione nei confronti del Progresso immateriale.

Tutte le società umane evolvono costantemente e si trasformano, per dar vita a qualcosa di nuovo, per far sorgere un nuovo sole all’orizzonte; se poi esso sarà più lucente o più oscuro del vecchio, saranno soprattutto le epoche successive a sperimentarlo. Ogni civiltà che è venuta alla luce nella storia è poi finita per tramontare, oppure per evolvere radicalmente, stravolgendo la propria natura. Questa metamorfosi spesso viene avviata proprio dalla progressiva dissoluzione, o dallo sconvolgimento – nel bene o nel male che sia – della volontà agente che opera alla base. Nei casi in cui, per una svariata possibilità di ragioni, lo spirito del tempo che domina una società muti in modo tale da risultare insufficiente o deviante rispetto allo di scopo di Progresso superiore, verrà a mancare proprio uno degli elementi fondamentali per la sopravvivenza della civiltà stessa.

 

Società di bambini: l’Occidente è vittima di un infantilismo dello spirito

Volgendo lo sguardo all’oggi, verso l’odierna civiltà occidentale, vediamo emergere i chiari contorni di una società che ha abdicato alle virtù etico-morali, in favore di uno spinto culto materialistico dell’essere e dell’agire. Coincidentemente, lo spirito del tempo è diventato portatore di un particolare disvalore: l’infantilismo. Sì, oggi la nostra è una società puerile; lo siamo nei singoli individui e lo siamo maggiormente, per sommatoria, come entità sociale complessiva. Come per un’orchestra nella quale diversi singoli strumenti suonino in modo scordato e dissonante, si avrà il risultato di una melodia d’insieme ancor più disarmonica. Sommando questa criticità al quadro sociale complessivo nel quale ci troviamo, le speranze riguardo le sorti della nostra civiltà non possono che farsi drammatiche. Il mondo occidentale sembra aver imboccato da tempo il viale del tramonto, ma ora il cammino davanti a noi si addensa di nubi sempre più fosche e impenetrabili. La nostra sopravvivenza, come civiltà, appare sempre più a rischio e il precipizio sempre più vicino.

 

I lineamenti della nostra società sono disegnati dal ruvido tratto di decenni vissuti nel consumismo sfrenato e nella mercificazione di ogni aspetto del vivere, finanche dei rapporti umani; nell’ipertrofia del benessere materiale preteso e ottenuto senza sforzo, quindi senza virtù; nel culto esclusivamente edonistico dell’Io, che ignora qualsiasi prospettiva sociale non aderente ad un personale interesse. La creatura bestiale che viene fuori da questo abbozzo è vittima di una profonda atrofia della dimensione spirituale, quindi della totale desacralizzazione dell’Esistenza.

 

Nondimeno, la crescente spettacolarizzazione alquanto hollywoodiana della realtà (aumentata) nella quale viviamo, si rivela il perfetto carburante per alimentare costantemente il motore del proprio ego, per sobillare la vanità, esaltare sempre la forma a discapito della sostanza; un motore che trasmette il movimento a un desiderio di illusoria e vuota apparenza. Questo desiderio, per sopravvivere alle vicissitudini del tempo e degli eventi, finisce per sostanziarsi in un’aspirazione di eterna giovinezza che rigetta gli oneri dell’età adulta e abiura alla maturazione della coscienza interiore. Sembra quasi che l’individuo sia dominato dal rifiuto di far crescere, e quindi dover abbandonare, il fanciullo che vive dentro di esso, potendo rincorrere così un’esistenza fondata sulla perenne spensieratezza dissoluta, sul vivere secondo la formula: “è bene tutto ciò che soddisfa i miei capricci” ed “è male tutto ciò che vuole limitarli”.

L’eterno fanciullo figlio di questo processo vive una condizione di immatura isteria emotiva, la quale esaspera fino all’irragionevolezza un sentimentalismo spesso ingenuo e facilmente manipolabile. Come un bambino, egli è ormai soltanto capace di reagire immediatamente agli stimoli percepiti – e spesso indotti con premeditazione – in modo del tutto istintivo e spesso prevedibile, senza più adoperarsi nella sana abitudine di pensare criticamente, ponderare, mediare, mettere in pratica la sospensione del giudizio, laddove si renda necessario. Questa istintività fanciullesca ha soppiantato l’edificante pratica di riflessione introspettiva che tempra lo spirito, che mira alla ricerca della piena coscienza di sé, come della comprensione profonda, seppur circoscritta, della realtà circostante. Scendere in solitaria fino alle stanze più oscure dei fenomeni osservabili, insinuarsi con le sole proprie forze tra le pieghe più nascoste dell’esistenza, sono atti di volontà sempre più rari, persino coraggiosi. Restare sulla quieta comodità della superficie è così rassicurante; specialmente quando significa seguire la corrente, ancor di più quando significa percorrere esattamente la scia prodotta da qualcuno davanti a sé. Navigare sulle rotte inesplorate disorienta, affrontare i mari tumultuosi spaventa: galleggiare su placide acque conosciute, questo desidera il fanciullo mai cresciuto, e mai osa immergersi nell’ignoto dell’abisso. Anche quando crede di calarsi in profondità, sta in realtà soltanto volgendo lo sguardo verso il basso, senza mai riuscire nemmeno a scorgere il fondo.

 

Sono dunque avversate tutte le norme di comportamento, scritte o non, che richiamano al senso del dovere più alto, ossia idealistico – non semplicemente civico -; ancor di più lo sono tutti i limiti posti davanti alle possibilità di degenerazione dell’agire umano. Al contrario restano inalterate, anzi incoraggiate, in quanto illusori sintomi del corretto avanzare sulla via del progresso umano, tutte le possibilità di soddisfare i vizi personali e più superbi, di glorificare la ricerca del piacere non più come strumento utile, specularmente alla disciplina, a bilanciare il cammino sul filo di un’esistenza appagante e virtuosa, ma come solo e unico scopo, che diviene sia percorso che meta finale. Lo stato di coscienza di questa umanità involuta sembra restare costantemente allo stadio della prima infanzia, ovverosia in quel bisogno spasmodico di attenzioni esclusive, nella percezione dell’universo circostante esclusivamente come un prolungamento del proprio Io, un riflesso di sé. Io sono il centro del mondo, tutto gira intorno al mio ego e la verità, il giusto, il bene, sono presenti in tutto ciò che si conforma al mio volere e al mio agire; mentre il male e l’errore non potranno mai appartenere al mio essere e alla mia volontà.

 

La società dei bambini produce individui incapaci di agire virtuosamente

Uno spirito così indebolito e isterilito conduce l’uomo al disconoscimento del valore astratto, immateriale delle proprie azioni; in altre parole, alla perdita del significato etico dell’agire umano. Vige il solo principio utilitaristico, se non addirittura, talvolta, una totale assenza di principio; vale a dire una evidente inutilità o illogicità dell’azione, che viene semplicemente eseguita in risposta a uno stimolo indotto. Agire per induzione compromette irrimediabilmente Il concetto di allenamento alla disciplina, e specialmente all’autodisciplina – sia intellettiva che emotiva -, fondamentale per lo sviluppo di una società sana e virtuosa, costituita da individui raziocinanti ed equilibrati. L’educazione all’agire secondo virtù – e non secondo un falso moralismo, si badi – è stata via via soppressa, lasciando spazio soltanto a una mera istruzione formale e omogeneizzata, basata sulla rigorosa trasmissione di nozioni e su una forma di vuoto convenzionalismo civico. Un’istruzione perfettamente funzionale alla formazione di individui che agiscano entro precisi confini culturali, morali, ideologici, e siano quindi organici al sistema egemonico.

 

Una società di bambini, così debole e infantile, squilibrata e indottrinata, non è più in grado di coltivare il dubbio, di educare se stessa alla ricerca della verità attraverso l’elaborazione critica e autonoma dei fenomeni circostanti; di inseguire il sapere con la consapevolezza di poterlo raggiungere soltanto in forma limitata o temporanea, fino al successivo mutamento di pensiero che rinnova il processo dell’eterna umana rincorsa alla conoscenza. Siamo persone che poco sanno e molto presumono di sapere; non aspiriamo più alla conoscenza, ma all’affermazione della nostra presunzione; non cerchiamo la verità, non cerchiamo la saggezza, crediamo piuttosto di possederle e doverle distribuire.

 

Soddisfare l’umano bisogno di certezze diventa dunque un atto di fede, non più di ricerca. In quanto esseri fragilmente umani, abbiamo sempre bisogno di credere in qualcosa; così, eliminata la dimensione trascendente, è sorta una nuova “fede laica” che rivendica il suo primato sull’esistenza e sulla verità. Una fede laica non può che venerare delle divinità laiche, incarnate, a seconda dei contesti, da persone in carne ed ossa – i Dotti e Competenti -, oppure da entità astratte, teoriche – i Dogmi apparentemente scientifici, le Carte costituzionali o dei Diritti. Le moderne divinità dettano il nuovo Verbo della verità rivelata, al quale ci adeguiamo, il quale veneriamo come un feticcio. Guai a chiunque osi porre il dubbio su questa evoluzione – si dica pure degenerazione – della fede: egli è un empio e miscredente, e come tale verrà trattato.

Non c’è da sorprendersi dunque, se tra indisciplinatezza, immaturità e superficialità, eclissi dello spirito e straripamento della materia, la logica conclusione sia la rimozione, o la depravazione di quello Scopo esistenziale superiore, del giusto avanzamento sulla strada del Progresso umano. Il mondo occidentale, noi bambini cresciuti che ne facciamo parte, sembriamo ormai del tutto incapaci di provvedere alla sopravvivenza della nostra civiltà, quindi di noi stessi. Occorre un deciso cambio di rotta, per ora nemmeno percepibile all’orizzonte, ma unica speranza – magari tornando ad educare secondo virtù le generazioni future – per questo organismo agonizzante.

 

di Michele Lanna

 

 

 

 

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