IQNA

Guerra in Yemen: per Riyadh due anni di fallimenti

23:21 - March 30, 2017
Notizie ID: 3481499
Iqna-La guerra in Yemen è iniziata due anni fa; era il 25 marzo del 2015 quando l’Arabia Saudita ha iniziato la sua aggressione ma, da allora, non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che s’era prefissa, incassando sconfitte e fallimenti.

Guerra in Yemen: per Riyadh due anni di fallimenti

Lo scopo di Riyadh era (e sarebbe ancora) fermare la coalizione creatasi fra l’Ansarullah, l’Esercito regolare yemenita e le forze popolari fedeli all’ex presidente Saleh, che si stava allargando su Aden e altre vaste aree del Paese; al contempo, intendeva ripristinare il potere del deposto presidente Mansur Hadi, creatura della corte wahabita.

Per questo i sauditi hanno creato (e pagato lautamente) una coalizione di diversi Paesi, e con il pieno appoggio di Stati Uniti e Inghilterra hanno lanciato l’operazione Tempesta Decisiva, aggredendo lo Yemen prima con bombardamenti aerei indiscriminati, poi anche con un’invasione di terra.

Ma la guerra in Yemen non è andata come Riyadh aveva immaginato; dopo due anni, l’Arabia Saudita e i suoi alleati si trovano impantanati in una campagna sanguinosa quanto costosa, che già da tempo si è allargata alle regioni meridionali saudite. Al contempo, Ansarullah, Esercito yemenita e le forze di Saleh hanno cementato la loro unione e si sono radicati più che mai in un Paese che respinge l’aggressione. Inoltre, malgrado media e comunità internazionale continuino a ignorare gli ignobili massacri di civili perpetrati con i bombardamenti, sono sempre più numerose – e pesanti – le condanne delle organizzazioni internazionali.

Alla radice della guerra in Yemen ci sono diverse motivazioni: gli sviluppi interni del Paese stavano mettendo fuori gioco gli interessi e la tradizionale egemonia saudita; la deposizione del presidente Mansur Hadi, un fantoccio di Riyadh, non poteva essere accettata pena il radicale ridimensionamento del potere saudita su tutta l’area. Al contempo, la decisione di scatenare la guerra in Yemen è stata presa dalla corte wahabita due mesi dopo che a Riyadh aveva preso il potere il clan Sudairi, con l’ascesa al trono dell’attuale re Salman e il completo rimescolamento delle gerarchie interne della casa reale.

È stato Mohammad bin Salman, figlio prediletto del re e vero uomo forte della corte, a scatenare la guerra in Yemen come nuovo approccio del regno saudita agli eventi considerati una grave minaccia. In realtà, l’aggressione contro un avversario largamente sottovalutato doveva costituire il trionfale successo del giovane principe per consolidare l’assai discusso avvento dei Sudairi sul trono, e rafforzare il già traballante potere politico-militare dell’Arabia Saudita nella regione.

Il clamoroso errore di calcolo si è tradotto in un completo fallimento che, tuttavia, né Mohammad bin Salman, nelle cui mani c’è di fatto l’intera politica del Regno, né la stessa corte saudita possono ammettere con una ritirata, pena l’assai probabile rovina del primo e il radicale ridimensionamento politico-militare della seconda.

Per questo la guerra in Yemen è destinata continuare a lungo, malgrado il fallimento dell’aggressione. Ma in questi due anni bombe e combattimenti hanno devastato quello che era già il più povero Paese della Penisola Arabica: scuole, strutture sanitarie, infrastrutture d’ogni genere sono state distrutte, facendo decine di migliaia di vittime civili; gli sfollati sono un’enormità e il blocco imposto dalla coalizione saudita ha spinto sull’orlo della catastrofe umanitaria l’intero Paese.

Tuttavia, gli yemeniti, pur pagando un durissimo prezzo per opporsi all’aggressione,  hanno imposto all’Arabia Saudita perdite sanguinose ed hanno portato il conflitto ben all’interno delle province meridionali del regno di Najran, Jizan e Asir, le cui basi militari sono puntualmente devastate dalle incursioni yemenite come ritorsione per i bombardamenti terroristici. Inoltre, il mantenimento dei contingenti stranieri, il costo delle operazioni e il prezzo da pagare per comprare l’appoggio della comunità internazionale, sta rendendo la guerra in Yemen insopportabile per un’economia falcidiata da spese fuori controllo e bassi prezzi del petrolio.

Alla luce di quanto sin qui detto, all’inizio del 3° anno di guerra si può stilare un bilancio dell’aggressione saudita:

  • la guerra in Yemen non ha distrutto le capacità militari del movimento Ansarullah, anzi, come è più che evidente dalle operazioni, le ha grandemente potenziate;
  • l’aggressione non ha fiaccato la volontà di resistenza del Popolo yemenita, ma lo ha stretto attorno a chi si batte in sua difesa; allo stesso modo, la guerra in Yemen ha rinsaldato l’inziale alleanza tattica fra Ansarullah e i seguaci di Saleh, invece che indebolirla;
  • il reinsediamento di Mansur Hadi non solo non è avvenuto, ma il suo consenso e la sua credibilità sono ai minimi;
  • il caos nel Paese, e la strumentale alleanza contro Ansarullah inizialmente sollecitata da Riyadh, hanno permesso la notevole espansione di al-Qaeda;
  • la guerra in Yemen diviene sempre più insostenibile per l’Arabia Saudita a causa dei crescenti costi fuori controllo, alla lunga non sopportabili per un’economia ricca ma in crisi, e perché il conflitto si sta ormai spostando nelle province meridionali del regno, minacciando di destabilizzarlo;
  • l’Iran, che per lungo tempo era rimasto alla finestra evitando di farsi coinvolgere, si sta inserendo nella crisi a seguito della competizione geopolitica nell’area che lo vede contrapposto a Riyadh, determinando un sostanziale spostamento degli equilibri.

Per tutte queste ragioni, la guerra in Yemen è il Vietnam dei sauditi; un’avventura fallimentare senza prospettive di successo, da cui non possono districarsi ma che li sta svenando e ne sta minando alla base la credibilità politica e militare.

Salvo Ardizzone
ilfarosulmondo

captcha