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Tasawwuf (sufismo): il punto di incontro di Tashayyu e Tasannun - Prima parte

15:52 - July 03, 2021
Notizie ID: 3486378
Iqna - Tasawwuf (sufismo): il punto di incontro di Tashayyu e Tasannun; di Wahid Akhtar, Docente di Storia della Filosofia Islamica presso l’Università di Aligarth (Pakistan) - Pubblicato in inglese su: Al Tawhid, Vol V, # 3 & 4

Tasawwuf (sufismo): il punto di incontro di Tashayyu e Tasannun - Prima parte

 

Taluni eminenti sufi hanno definito il sufismo (tasawwuf) come essenza dell’etica islamica. Esistono differenti punti di vista riguardo all’etimologia del termine tasawwuf. Vi è chi ritiene che parte dei suoi principi derivino da fonti extraislamiche. Fra gli orientalisti, attualmente, pochi sono coloro che condividono il punto di vista secondo cui il tasawwuf non deriva dall’interiorità dell’insegnamento islamico. Alcuni celebri orientalisti, quali Nicholson, Massignon ed Henry Corbin hanno contribuito a rimuovere i fraintendimenti rispetto alle sue origini.

Indubbiamente tutte le religioni posseggono una dimensione gnostica (‘irfanì) poiché essa è l’elemento comune o l’essenza della religione. L’Islam differisce comunque dalle altre religioni per via del suo carattere peculiare. A prescindere dal Giudaismo delle origini, nessuna religione sottolinea l’unità organica del mondano e del trascendente e si fonda su una Legge onnicomprensiva che governa la vita umana e la società. L’etica può a ragione essere considerata l’essenza dell’Islam, in quanto include due dimensioni inseparabili: individuale e collettiva.

L’insegnamento islamico comprende tre aspetti: la dottrina (‘aqa’id), l’adorazione (‘ibadat) e i doveri sociali (mu’amalat). I fondamenti della fede furono rivelati al Profeta (S) ed egli prescrisse i dettagli degli atti di culto e dell’adorazione, decretati da Dio nel Suo Libro in termini generali.

Quindi il Corano e la Sunnah sono le due fonti della dottrina e della pratica islamica. Il sentiero del conseguimento della perfezione nella adorazione non può prescindere dai doveri sociali; un musulmano si impegna a conseguire le stazioni spirituali più elevate mediante le sue relazioni con gli altri esseri umani.

I teologi musulmani in generale ed i sufi in particolare credono che Dio possa perdonare le violazioni dei Suoi diritti (haqq Allah), ma non perdonerà l’inadempimento dei propri doveri verso gli altri esseri umani (huquq al-nas).

Per questa ragione l’etica, scienza in grado di estendersi soltanto in seno alla società, ha un’importanza pari a quella della dottrina e dell’adorazione. Secondo la prospettiva islamica anche i principi di fede e gli atti di adorazione mirano al perfezionamento dell’etica.

Il Profeta stesso (S) ha detto:

إنَّما بُعِثتُ لِأتَمِم مكارم الأخلاق

Invero sono stato inviato per perfezionare l’etica.”1

Può pertanto affermarsi che la definizione del tasawwuf come essenza dell’etica islamica è più di qualunque altra adeguata con lo spirito dell’Islam ed il contenuto della disciplina rispetto ad ogni altra definizione. Ciò per via del fatto che, a prescindere dalle controversie etimologiche, sin dal momento in cui si sono diffusi i termini sufì e tasawwuf, i detentori di questo insegnamento hanno sottolineato il ruolo della purezza (safa), come carattere primario del sufì.

E’ detto nel Sacro Corano:

قَدْ أَفْلَحَ مَن تَزَكَّى

“Prospererà invero colui che purificherà la propria anima” (Santo Corano, 87: 14)

قَدْ أَفْلَحَ مَن زَكَّاهَا  وَقَدْ خَابَ مَن دَسَّاهَا

“Per l’anima e per ciò che l’ha formata, mostrandole il suo degrado e la sua custodia. Prospererà invero colui che la purifica, mentre invero perirà colui che la corrompe” (Santo Corano, 91: 9-10)

I versetti citati in precedenza affermano che Dio ha dato forma all’anima umana ispirandole la comprensione di ciò che le giova o che le nuoce (91:7-8). La purificazione del cuore e dell’anima non è un fine in se stesso ma un mezzo per conseguire il compiacimento di Dio, sommo bene dei sufi.

Il sentiero del perfezionamento passa attraverso la vita comunitaria ed il suo obiettivo non è conseguibile nell’isolamento. La concezione islamica della spiritualità è radicata nella vita comunitaria che fornisce alla persona la possibilità di ottenere il compiacimento divino.

La parola sufì non ricorre nel Corano o negli ahadith, ma il termine compiacimento (ridhà) ricorre in forme e radici differenti in più versetti del Corano.

يَا أَيَّتُهَا النَّفْسُ الْمُطْمَئِنَّةُ  ارْجِعِي إِلَىٰ رَبِّكِ رَاضِيَةً مَّرْضِيَّةً   فَادْخُلِي فِي عِبَادِي  وَادْخُلِي جَنَّتِي

“O anima acquietata! Torna al tuo Signore compiaciuta e compiacente! Entra fra i Miei servitori, entra nel Mio Giardino” (Santo Corano, 89:27-30).

La stazione più elevata che l’uomo può conseguire nel compiacimento del suo Signore si identifica col pieno adeguamento alla Volontà Divina:

وَمِنَ النَّاسِ مَن يَشْرِي نَفْسَهُ ابْتِغَاءَ مَرْضَاتِ اللَّـهِ ۗ وَاللَّـهُ رَءُوفٌ بِالْعِبَادِ 

“E fra gli uomini vi è colui che vende la propria anima per procacciarsi i favori di Allah, e Allah è indulgente verso i Suoi servitori” (Santo Corano, 2:207).

Secondo il nostro punto di vista i versetti citati contengono la definizione più profonda di un sufi. Nell’affermare ciò ci atteniamo a quanto è stato unanimemente tramandato dai commentatori, cioè alla circostanza secondo cui il verso 207 della Surat ul-Baqarah è stato rivelato nella notte dell’emigrazione (hijrah), allorquando ‘Alì si offrì di dormire nel letto del Profeta (S), mettendo a repentaglio la sua stessa vita.

Va rammentato che ‘Alì ibn Abì Talib (as) è riconosciuto come fonte e primo anello di trasmissione delle catene (silasil) di tutti gli ordini (turuq) sufi, con la sola eccezione di un ramo della Naqshbandiyyah [il quale lo annovera dopo i primi tre califfi]. ‘Alì (as) è chiamato Sayyidu ‘l-Awliya (Capo di tutti i wali e sufi).

Donare la propria vita ad Allah è l’unico modo per ottenere il compiacimento divino e, quindi, diventare lo strumento della Volontà Divina. Il più grande sacrificio nella storia dell’Islam è quello dell’Imam al-Husayn (as) a Karbala. Molti mufassirun (esegeti) ritengono che i versetti 27-30 della Surat al-Fajr (citati precedentemente) si riferiscano al martirio dell’Imam Husayn.

E’ pertinente notare che i sacrifici di ‘Ali (as) e al-Husayn (as) ebbero un grande significato socio-politico tanto nella storia dell’Islam quanto nell’intera storia umana. Nessuno storico onesto può negare l’elevato rango spirituale di ‘Ali (as) e al-Husayn (as).

Da questa introduzione al sufismo intendiamo spiegare che la vera spiritualità islamica si identifica con l’etica più elevata riposta nei confronti di Dio e delle Sue creature. Comunque lo si voglia definire, il sufismo è inseparabile da tale attitudine. Secondo questo punto di vista è pertanto corretto affermare che la gnosi islamica si differenzia e si distingue da ogni altra forma di esoterismo tesa al conseguimento del compiacimento divino, o in alcuni casi all’unione con Dio, rinunciando al mondo. L’Islam proibisce invece l’ascetismo e la rinuncia alla vita comunitaria, con le parole: “Non vi è monachesimo nell’Islam”.

Ciò che distingue il sufismo dalla dimensione esoterica di tutte le religioni o forme tradizionali è il suo fondamentale carattere comunitario. Il Profeta (S) stesso viveva fra gli uomini ed instaurava con loro relazioni sociali e politiche. Secondo il punto di vista proprio a tutti i musulmani egli è l’Uomo Universale (al-insan al-kamil). Nessun sufi può mai pretendere di conseguire lungo il sentiero spirituale una stazione più elevata della sua. Anche gli Imam della Gente della sua Famiglia (Aimmat Ahl al-Bayt) hanno sempre operato attivamente al fine di istruire i musulmani e di elevare il loro rango etico e sociale a quello di probi servitori di Dio.

Essi sono tenuti in altissima considerazione da tutti i sufi, e si afferma che taluni dei primi sufi siano stati discepoli diretti dell’uno e dell’altro Imam. In generale gli orientalisti tendono ad ignorare l’importante ruolo degli Imam dell’Ahl al-Bayt rispetto all’origine ed allo sviluppo del tasawwuf. Per comprendere la dimensione socio-politica del sufismo è necessario studiare il vincolo che li lega ai sufi ed alle loro dottrine. A questo riguardo è degna di rilievo e significativa l’osservazione di Henry Corbin. Egli osserva che, mentre i Sunniti distinguono fra Legge exoterica (Shariah) e Sentiero della realizzazione esoterica (Tariqah), gli Sciiti si sono sempre guardati dall’operare tale distinzione, poiché i primi separano il potere temporale dall’autorità spirituale, mentre i secondi uniscono i due domini nella funzione dell’imamato.

Nel mondo sunnita, allorquando, nel terzo/nono secolo, il sufismo assume la forma di un movimento ben definito, esso fu soggetto alla veemente opposizione dei sapienti (‘ulamà) e dei giuristi (fuqaha’). Nel mondo sciita non avvenne invece nulla di simile, dacché la fede negli Imam infallibili fonde le funzioni esoterica ed exoterica nella medesima persona. Henry Corbin2 e Kamil Mustafa ash-Shaybi, l’autore dell’opera “Tashayyu wa tasawwuf” (Shi’a e sufismo), sono concordi nell’affermare che i sufi trassero la loro nozione di “polo” (qutb) e di “soccorso” (ghawth) dalla concezione sciita dell’imamato3.

I sufi ritengono che l’universo non può sussistere in assenza di un polo (qutb) da cui dipendono la preservazione della fede e la guida degli esseri umani. Egli è fra gli approssimati a Dio, è il guardiano della fede e riceve istruzioni direttamente da Dio.

Rivolgendosi al suo discepolo Kumayl ibn Ziyad, riconosciuto da alcuni ordini sufi come loro maestro, ‘Ali dice:

اللهم بلى، لا تخلو الأرض من قائمٍ لله بحجةٍ. إما ظاهراً مشهوراً أو خائفاً مغموراً لئلا تبطل حجج الله وبيناته. وكم ذا وأين أولئك. أولئك والله الأقلون عدداً و الأعظمون قدراً. يحفظ الله بهم حججه وبيناته حتى يودعهم نظراءهم ويزرعوها في قلوب أشباههم هجم بهم العلم على حقيقة البصيرة، وباشروا روح اليقين، واستلانوا ما استوعره المترفون، وأنسوا بما استوحش منه الجاهلون وصحبوا الدنيا بأبدانٍ أرواحها معلَّقٌة بالمحلِّ الأعلى. أولئك خلفاء الله في أرضه والدعاة إلى دينه. آه آه شوقاً إلى رؤيتهم. انصرف إذا شئت.

*****

“La terra non è mai priva di coloro che si ergono per Dio con una prova (hujjah), apertamente e manifestamente, oppure, per timore, celatamente, affinché le prove di Dio e i Suoi chiari segni non scompaiano (o vengano invalidati) [dalla sua morte]. Quanti sono e dove risiedono? Per Dio, il loro numero è assai ristretto, ma in sublime considerazione presso Dio.. Mediante essi Dio mantiene le Sue prove e segni, finché essi affidano (tali funzioni) ad altri loro simili e le trapiantano nel cuore di altri loro pari.

La conoscenza li ha condotti alla reale comprensione ed essi hanno conseguito lo spirito della certezza. Ciò che per quanti ricercano gli agì è arduo, è per loro agevole. Essi hanno caro ciò che gli ignoranti guardano con disprezzo.

Vivono in questo mondo con i loro corpi, ma i loro spiriti riposano nella dimora più elevata. Essi sono i vicari di Dio sulla Sua terra, coloro che chiamano alla Sua religione. Oh, quanto anelo alla loro visione. O Kumayl, ti ho detto quanto dovevo dirti. Torna pure quanto vuoi (per ricevere ulteriori insegnamenti).4
Nessuna descrizione del sufi è più eccellente di quella fornita nel passo sopra citato. Generalmente si suppone, sulla base del brano del Nahj ul-Balaghah qui riportato, che ‘Ali fosse un individuo disincantato da questo mondo e avverso ad esso. Al contrario, egli sembra preannunciare il punto di vista di Leibniz - il filosofo razionalista europeo che afferma che il nostro è il migliore dei mondi possibili – nella seguente dichiarazione che fece quando ascoltò qualcuno riprovare il mondo:

إن الدنيا دار صدقٍ لمن صدقها، ودار عافية لمن فهم عنها،ودار غِنى لمن تزود منها، ودار موعظةٍ لمن أتعظَ بها. مسجد أحباء الله، ومصلَّى ملائكة الله، ومهبط وحيِ الله ومتجر أولياء الله. اكتسبوا فيها الرحمة، وربحوا فيها الجنة. فمن ذا يذمها وقد آذنت ببينها.

“In verità questo mondo è una dimora di veridicità per coloro che in esso sono veritieri, una dimora di quiete per coloro che ne capiscono il sistema e le sue modalità, una dimora di arricchimento (spirituale) per coloro che ne traggono profitto, una dimora di ricompensa per coloro che ne traggono giovamento, un luogo di prosternazione per gli Amati di Dio, un luogo di adorazione per gli Angeli di Dio, il ricettacolo della rivelazione di Allah, il campo degli Intimi di Allah. In esso si guadagna la misericordia, ed in esso ci si merita il Paradiso. Chi può dunque parlarne negativamente?5

Il brano sopra riportato riassume le funzioni ed il ruolo del sufi in questo mondo, sebbene sembri differire da quanto è generalmente ritenuto essere la mèta di un sufi.

In questa sede intendiamo dare corpo alle tesi relative all’intimo vincolo fra il principio sciita dell’imamato e la concezione della guida spirituale propria ai sufi. A riguardo prenderemo in esame la storia del sufismo.

Henry Corbin nella sua “Storia della filosofia islamica”, Mustafa Kamil ash-Shaybi nell’opera “Tashayyu wa tasawwuf”, Shah Waly Allah nell’opera “Hamaat”, I. P. Petroshvenski nell’opera “Islam dar Iran” ribadiscono la loro adesione al punto di vista secondo il quale il tasawwuf è il prodotto naturale dell’insegnamento coranico, frutto dell’operatività dei primi Musulmani arabi6 i quali, in seguito al disincanto derivante dalla corruzione della Comunità islamica, sopraffatta dal continuo flusso di immense ricchezze che inondarono l’Arabia e le sue città più importanti, nonché dalla conquista da parte dei musulmani di terre fertili poco tempo dopo la morte del Profeta (S), si ritirarono dalla società, che ritenevano ormai lontana dagli ideali islamici di giustizia e di sobrietà per concentrarsi in modo esclusivo sull’adorazione e sui riti.

Questa tendenza iniziò sotto il regime del terzo Califfo ‘Uthman ibn ‘Affan, e si protrasse radicandosi dopo la tragedia di Karbala, il sacco di Medina ed il massacro di Mecca. Alla prima generazione di rigoristi (zuhhad), di dediti all’adorazione (‘ubbad) e di teologi (mutakallimun) appartiene al-Hasan al-Basri. Nella sua opera “Hamaat” Shah Waly Allah, il celebre sufi di Dehli, non entra in tali dettagli, ma sostiene che il tasawwuf sorge nella cerchia dei rigoristi e degli adoratori tra i Compagni (Sahabah), i loro Seguaci (Tabiun) ed i Seguaci dei Seguaci (Tabi al-Tabiyn) del Nobile Profeta (S). Salvo qualche rara eccezione essi erano tutti arabi. Ciò è sufficiente a confutare il pregiudizio, invero assai diffuso, secondo il quale il tassawuf rappresenta una reazione della “mentalità iranica” al “legalismo arabo”.7

La rinuncia al califfato da parte dell’Imam al-Hasan segna l’inizio del consolidamento del regno della dinastia ummayade, la cui politica implicò una fragrante alterazione dei principi dell’assetto socio-politico proprio all’Islam. Dopo la tragedia di Karbala, gli Imam dell’Ahl al-Bayt si ritirarono dall’attività politica, dedicandosi all’insegnamento ed allo sviluppo delle scienze religiose in vista della preservazione dell’Islam e del suo spirito.

Per quanto attiene al primo secolo dell’egira la raccolta di invocazioni del quarto Imam ‘Ali ibn al-Husayn, detto Zayn al-‘Abidìn, intitolata “As-Sahifah al-kamilah” o “As-sahifa as-sajjadiyyah”8 rappresenta una delle fonti più autentiche della dimensione gnostica dell’Islam. Dopo i celebri sermoni e detti dell’Imam ‘Ali (as), dimora del ricco tesoro della spiritualità islamica e della letteratura gnostica, contenenti in embrione molti dei germi sapienziali da cui si sarebbero sviluppate in seguito scienze quali teologia (kalam), gnosi (‘irfan) e filosofia socio-politica, l’opera “As-sahifa al-kamilah” costituisce la prima raccolta di insegnamenti gnostici islamici.

Il figlio dell’Imam Zayn al-‘Abidin, l’Imam Muhammad al-Baqir (as), iniziò a tenere lezioni regolari di esegesi coranica (tafsìr), giurisprudenza (fiqh) e gnosi (‘irfan)9. Suo figlio, l’Imam Ja’far as-Sadiq (as), sviluppò quella che in seguito avrebbe preso il nome di “scuola di giurisprudenza jafarita” (fiqh jafari). Si narra che abbia istruito più di tremila discepoli per quanto attiene alla giurisprudenza (fiqh), ai principi di giurisprudenza (usil al-fiqh), alla teologia (kalam) e alla gnosi (‘irfan).

Quando, in concomitanza con il declino della dinastia ummayade, Abu Muslim al-Khurasani gli offrì il califfato l’Imam rifiutò, seguitò a sviluppare la trasmissione dell’insegnamento dei suoi padri e si astenne, almeno apertamente, dalla scena politica. Tutti gli altri Imam della Shi’a duodecimana (shi’ah ithna ‘ashari) si attennero a tale orientamento e divennero celebri e riveriti per la loro grande pietà e la loro sapienza. La fede sciita nell’infallibilità degli Imam si fonda sull’insegnamento coranico dell’impeccabilità dei Profeti, malgrado quanto sostenuto dall’orientalista Donaldson, e non ha alcun legame con la dottrina iraniana dell’origine divina dei re o con la tradizione israelita10.

Gli Imam furono accolti come guide spirituali da alcuni dei più celebri sufi loro contemporanei, quali al-Harith al-Muhasibi, Abu Yazid al-Bistami, al-Hasan al-Basri e Sufyan ath-Thawri. Tra le signore della Gente della Casa (Ahl al-Bayt), alcune sono annoverate fra le esponenti originarie della scuola d’Amore (‘ishq) del tasawwuf. Fra esse eccellono ‘A’isha, figlia dell’Imam Ja’far as-Sadiq (as) e contemporanea di Rabi’ah al-‘Adawiyyah e di Hasan al-Basri, Nafìsah (secondo/ottavo secolo) e Fatimah (m. 244/838).11

 

  • 1.Safinatul Bihar, vol. 1, pg. 411: Mizan Al-hikma, vol 1, p. 804, hadith 1111.
  • 2.Henry Corbin, "Historie de la philosophie islamique", traduzione persiana di Asadu'Llah Mubashshari, Tehran, p. 50-96, 252-257 (Per l'edizione italiana si consulti "Storia della filosofia islamica", Adelphi).
  • 3.Ibid., p. 252-257. Kamil Mustafà ash-Shaybi "Tashayyu° wa tassawuf", traduzione persiana di °Ali Ridà Dhakàwati Qaragozulù, Tehran.
  • 4.Nahj ul-Balaghah, hadith n. 147, conversazione con Kumayl Ibn Ziyad.
  • 5.Nahj ul-Balaghah, hadith n.131.
  • 6.Henry Corbin, Op. cit., p. 252-255; Kamil Mustafa as-Shaybi, Op.cit., pp. 30-35; Shah Waliyyu 'Llah, "Am’àt", traduzione urdu di Muhammad Sarwar, Sindh Sagar Academy, introduzione; Elia Pavlovic Petroshvensky, "Islam dar Iran", Tehran, p. 319-325.
  • 7.Il riferimento è all'opera di Hanna al-Fakhuri e Khalil al-Jarr, "Tarikh-e falsafah dar jahan-e eslami", traduzione persiana di A. Ayati, Tehran.
  • 8.Al-Imam ‘Ali ibn al-Husayn (as), "As-sahìfatu 'l-kamilah", traduzione inglese di Sayyid Ahmad Muhani, Tehran, Islamic Propagation Organization 1984, traduzione persiana di Javad Fadil, Tehran.
  • 9.Cfr. Asad Haydar "Al-Imam as-Sadiq", Daru 'l-kitabi 'l-gharbiyyah; Sayyid Ahmad Safa'i, Hishàm ibn al-Hakam: "Mudàfi°-ye harìm-e wilàyat", Tehran.
  • 10.Kàmil Mustafà ash-Shaybi, "Op. cit.", p. 27.
  • 11.Petroshvensky, "Op. cit.", p. 327

 

 

 

 

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