L’esecuzione da parte del Regno dell’Arabia Saudita del leader religioso sciita Nimr al Nimr lo scorso 2 gennaio, dopo quattro anni di detenzione rischia di fare esplodere il conflitto fra Islam sunnita e Islam sciita. Questa divisione, oggi più che mai, sta contribuendo a dare una nuova forma al Medio Oriente con conseguenze che sonomoltodifficili da prevedere. In questa sede ci occuperemo di una rapida divulgazione della dottrina dello sciismo duodecimano o imamita spiegando in cosa differisce rispetto al sunnismo. Per ragioni di spazio non ci occuperemo delle altre ramificazioni minoritarie dello sciismo (ismailismo, zaydismo, alawismo, ecc…).
La divisione fra sunniti e sciiti è posteriore alla morte del Profeta Muhammad avvenuta nel 632 d.C. Secondo la maggioranza dei musulmani che andranno a costituire quelli poi verranno chiamati sunniti egli non avrebbe designato alcuno dei suoi compagni alla guida della neonata comunità dei credenti (umma) e che fosse compito di quest’ultima eleggere il suo erede, mentre una minoranza sostenne che il Profeta dell’Islam nel noto sermone di al-Ghadir avesse nominato Alì, suo cugino e genero, alla successione. Costoro divennero noti come sciiti, dal termine arabosci’ache significa "fazione” o "partito” nella fattispecie quello di Alì. Per questi ultimi il ruolo di Imam, ovvero di guida della comunità islamica, non poteva che essere designato da un decreto di Dio, comunicato per mezzo del Profeta, e non attraverso la scelta o l’elezione fatta dalle genti, poiché queste non ne avrebbero posseduto l’autorità.
Nell’Islam sunnita infatti il Califfo (in arabokhalifah"vicario”) è un semplice amministratore dello stato e di conseguenza egli non ha unostatusdi autorità religiosa per la comunità; egli gode soltanto del potere temporale e non dell’autorità spirituale e quindi non è considerato né impeccabile né infallibile e la sua parola non è dogma di fede. Per gli sciiti al contrario egli è il custode di una Verità Superiore e di un Sapere Esoterico.
Mentre i sunniti infatti distinguono fra Legge exoterica (Shariah) e Sentiero della realizzazione esoterica (Tariqah), gli sciiti si sono sempre guardati dall’operare tale distinzione, poiché i primi separano il potere temporale dall’autorità spirituale, mentre i secondi uniscono i due domini nella funzione dell’imamato.
Il sunnismo ha sempre rifiutato l’idea di una figura in grado di "aprire” il Corano e di svelarne il significato profondo a chi è in grado di comprenderlo. Assurgendo a guardiano della Legge il Califfo sunnita si limitava a sorvegliare sull’applicazione della stessa alle molteplici esigenze della Comunità Islamica. Si restava così sul piano puramente essoterico e dell’espressione enunciata, vale a dire alla superficie del versetto coranico, lasciando alle diverse scuole il compito di elaborare l’interpretazione teologica, mentre ilTasawwufavrebbe provveduto, da parte sua, ad approfondire il significato nascosto del Corano, rappresentando così l’interiore della Sunnah, con le sue diverse ramificateturuq.
Nello sciismo al contrario proprio in virtù del suo rifarsi ad Alì e agli Imam suoi discendenti, non si ha questa frattura fra esteriore e interiore.
«Il punto su cui tutti concordano – scrive Henry Corbin – è che il Profeta dell’Islam è stato il Sigillo della profezia; non vi saranno più profeti dopo di lui; più precisamente non vi saranno più Inviati incaricati di annunciare agli uomini unashari’at, una Legge divina. Ma allora si pone un dilemma: o la conoscenza religiosa rimane, di generazione in generazione, centrata su questopassatoprofetico ormai concluso, in quanto essa percepisce nel Libro soltanto un codice di vita morale e sociale, e in quanto il "tempo della profezia” (zaman al-nobowwat) si è rinchiuso su questo senso letterale del tutto essoterico, oppure questo passato profetico è ancora davenire, poiché il testo del Libro racchiude un senso nascosto, un senso spirituale, il quale postula allora una iniziazione spirituale, che è stata ministero degli Imam. Al ciclo della profezia (da’irat al-nobowwat) succede il ciclo dellawalayat» (cfr. Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, 2007, p.77)
Generalmente il terminewalayatviene tradotto in arabo, persiano e altre lingue d’uso nel mondo islamico, in più significati (santità, amicizia, patronato e guida) mentre nel contesto specifico dellaSci’aduodecimana il terminewalayatricomprende "gli ampi poteri spirituali, religiosi e politici che vengono attributi soltanto agliImamper guidare la comunità islamica verso la perfezione”.
Secondo lo sciismo duodecimano o imamita, gliImamsuccessori legittimi del Profeta dell’Islam, detentori dell’autorità spirituale e del potere temporale sono dodici di numero. Il Profeta Muhammad li ha designati tutti per nome, e ciascuno di loro ha designato il suo successore. In ordine essi sono:
Ancora bambino il dodicesimo Imam, scomparve, nei locali sotterranei della casa di suo padre (o di una moschea), per ricomparire verso la fine dei tempi. Si aprì così (siamo nell’874 d.C.) un periodo chiamato dell’«occultamento minore» (ghayba al-sughra) che durò settant’anni, nel corso dei quali l’Imam nascosto ebbe successivamente quattrona’ibo rappresentanti, tramite i quali gli sciiti potevano comunicare con lui. All’ultimo di costoro, Alì Samarri, egli ordinò in una lettera di non scegliersi alcun successore, poiché era venuto il tempo della Grande Occultazione (ghayba al-kubra) che perdura tuttora. Fra le conseguenze più importanti di questo occultamento vi è la dottrina dell’attesa messianica: gli sciiti che si sono riconosciuti sotto la guida di questi dodici imam, ovvero i cosiddetti sciiti duodecimani, formulano altresì una teoria legata al ritorno del Mahdi, il quale aspetta che Dio stesso determini quale sarà il momento giusto per il suo ritorno.
Tale ritorno avverrà in una situazione paragonabile al giorno del giudizio, anzi a questo di poco precedente: dopo una serie di segni premonitori, che la tradizione sciita tramanda, il Mahdi tornerà con i compagni da lui scelti, assieme ai quali condurrà una battaglia dove il bene trionferà sul male.
Un altro importante aspetto della fede per sciiti è il culto del martirio (shahadat) e la disponibilità al sacrificio della propria vita per il bene collettivo. A tal proposito è significativa la storia del terzo Imam Hussayn. Figlio di Alì (il primoImam) si rivoltò eroicamente contro gli Ommayadi guidati da Yazid figlio di Mu’awiyah.
La successione di Yazid a Mu’awiyah provocò un forte risentimento nella città di Kufa: vuoi per l’arbitrio degli Ommayadi (la stirpe di Mu’awiyah) che dimostravano così l’intenzione di trasformare il califfato in carica ereditaria; vuoi per la condotta poco ortodossa di Yazid, noto gaudente; vuoi ancora perché i kufani mal sopportavano il giogo ommayade, tant’è che intrapresero una corrispondenza con Hussayn affinché intervenisse nella loro città per liberarli dall’odiato Yazid.
Hussayn accettò e iniziò a marciare verso Kufa con un manipolo di fedelissimi, una settantina secondo la tradizione, più le donne e i bambini, ma con promessa di rinforzi da parte dei kufani. Durante la marcia Hussayn e i suoi furono intercettati dal comandante nemico al-Hurr, che aveva il compito di fermare l’avanzata dell’Alide chiedendogli di riconoscere il nuovo califfo Yazid. Hussayn rifiutò, e, magnanimamente offrì la sua acqua ad al-Hurr e ai suoi soldati assetati. Al-Hurr lasciò procedere Hussayn, controllandolo però a distanza, in attesa di nuove istruzioni. L’Alide arrivò nella piana di Karbala il 2 del mese di Muharram dell’anno 680 e venne raggiunto da vari messi del califfo che gli ingiunsero di chinare il capo e ritirarsi. Hussayn rifiutò, anche se ormai era chiaro che da Kufa non sarebbe arrivato nessun rinforzo. Gli abitanti della città, terrorizzati dal nuovo governatore, uomo di Yazid, non osarono infatti muoversi. Intanto le riserve d’acqua dell’accampamento iniziarono a scarseggiare. L’attacco fu di breve durata, perché il numero dei soldati del califfo era smisuratamente superiore a quello degli assaliti, che, oltretutto soffrivano la sete, avendo nel frattempo gli Ommayadi bloccato l’accesso dell’armata di Hussayn al fiume Eufrate. Abbas un fratellastro di Hussayn, con un manipolo di uomini tentò una sortita al fiume, ma venne ucciso. Secondo la tradizione, Hussayn restò solo con il figlio Alì Asghar in braccio, chiedendo di dissetarlo, ma una freccia colpì il bambino alla gola uccidendolo. Alla fine, anche Hussayn fu costretto a soccombere.
Le armate califfali decapitarono il terzoImamnipote del Profeta Muhammad e i suoi compagni, innalzando le teste sulle loro picche e le portarono a Kufa insieme alle donne prigioniere. Il governatore Ubaidollah, non pago di vedere la testa del suo nemico su un vassoio, meditò di ucciderne anche l’altro figlioletto superstite, Alì, ma la sorella di Hussayn, Zeynab, si erse coraggiosamente in sua difesa. Il suo discorso è rimasto nella storia come un capolavoro di eloquenza, mentre ella divenne, dopo la morte, oggetto di culto fra gli sciiti, che le dedicarono un santuario al Cairo e uno a Damasco.
Il giovane Alì venne risparmiato e inviato al califfo Yazid, a Damasco, insieme alle donne alidi prigioniere.
Al di là della disfatta militare, l’episodio di Karbala – che viene celebrato nel giorno diAshura(10 di Muharram) – si erge a momento cruciale per la comunità sciita. Da questo momento, infatti, gli sciiti sono coloro che sono stati traditi, i giusti che patiscono somma ingiustizia, i puri che vanno incontro al martirio pur sapendo di non avere via di scampo. Hussayn era stato avvertito da più parti del tradimento quasi certo degli abitanti di Kufa, e ciononostante, andò consapevolmente incontro alla morte. Quasi come se fosse una reincarnazione di Cristo, Hussayn diviene l’agnello che s’immola sull’altare della giustizia, il martire (shahid) che rifiuta il compromesso di accettare la sovranità di personaggi empi e nefasti per la comunità dei credenti, laumma. La sua lotta è diventata nella memoria collettiva dellaSci’aun simbolo del rifiuto dell’ingiustizia e dell’oppressione.
La rivoluzione islamica dell’Iran contro lo Shah Mohammed Reza Pahlavi (1919-1980) segna un profondo mutamento all’interno dello sciismo. Alcuni intellettuali iraniani fra i quali spicca il nome di Alì Shariati (1933 – 1977) insistettero sulla necessità di riformare l’Islam sciita, anzi, di ritornare allo sciismo dei primordi, inserendosi in quel filone di pensiero che proclamava l’esigenza di tornare alle radici dell’Islam per ritrovare i valori che hanno reso grande la comunità dei credenti. In un suo libro intitolatoLa Sci’a Safavide e la Sci’a AlavideShariati suddivise la Sci’a imamita in due momenti storici, corrispondenti a due correnti di pensiero opposte. Da una parte lo sciismo «nero» dell’epoca safavide ripiegato su stesso in un’attesa passiva e dall’altro uno «rosso» corrispondente a quello dei primi Alidi a cui secondo l’autore bisognerebbe ritornare in quanto costituisce un potente strumento di liberazione delle masse oppresse contro il capitalismo e lo sfruttamento. La riflessione di Shariati, ucciso in Gran Bretagna da agenti della Savak la polizia segreta dello Shah, sarà ripresa dall’Imam Ruhollah Khomeyni (1902 – 1989) il quale inviterà il clero sciita a tornare all’insegnamento del Profeta Muhammad e degli Imam Alì e Hussayn, che hanno scelto di combattere contro l’oppressione, piuttosto che «ruminare» su questioni di morale evitando l’agone politico.
Queste sono dunque le basi dello sciismo imamita, che rifacendosi agli insegnamenti dei dodici Imam dell’Ahlul Bayt(Gente della Casa, ovvero la famiglia del Profeta) unisce gnosi, misticismo, ascetismo, conoscenza, esoterismo, azione e martirologio del "Puro Islam” muhammadiano, naturale congiunzione negli eventi escatologici e naturale ponte di salvazione per l’umanità.
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