Nel 2008 Samantha
Elauf fece un colloquio di lavoro con Abercrombie & Fitch, per una
posizione di addetta alle vendite nel negozio di Tulsa, in Oklahoma. Samantha,
allora 17enne, aspirava al ruolo di «modella», doveva far parte della squadra
di ragazzi e ragazze immagine che, come in tutti i negozi della catena,
indossano gli ultimi arrivi griffati A&F.
Elauf fece un’ottima impressione al manager, ottenendo un punteggio elevato, ma quando quest’ultimo si consultò con il responsabile di zona, le quotazioni di Elauf, in base al «look policy», si abbassarono vertiginosamente, e alla fine venne scartata. Il problema per A&F era che Samantha, durante il colloquio, indossava un hijab, il copricapo nero delle fedeli musulmane. E questo era contrario alle severe regole di costume imposte dall’azienda ai dipendenti dei negozi, tra cui il divieto di indossare cappelli, orecchini vistosi e di mantenere copricapo per motivi religiosi.
Il diniego di A&F non è andato giù a Samantha che tramite l’Equal Employment Opportunity Commission (l’organismo che vigila sulle pari opportunità del lavoro in Usa) ha fatto causa all’azienda vincendo in primo grado. La motivazione è che la società aveva adottato un comportamento discriminante. Nel 2013 la sentenza però è stata ribaltata in secondo grado, perché la ragazza non era protetta dal Civil Rights Act del 1964, visto che durante il colloquio non aveva fatto menzione della necessità di indossare l’hijab per motivi religiosi.
In sostanza per la Corte d’Appello, la ragazza sarebbe stata esclusa solo in ottemperanza ai criteri fissati da A&F. La sentenza tuttavia è stata contestata dall’Eeoc, che ritiene assai pericoloso definire necessario per un colloquio di lavoro dichiarare la propria fede. Un atto discriminatorio in sé quindi. La società si difende spiegando di avere una tradizione assai longeva di inclusività e rispetto delle diversità, ma se la Corte suprema dovesse dar ragione alla ragazza con l’hijab, la sentenza potrebbe avere una serie di ramificazioni che riguardano ad esempio la gravidanza e le disabilità