IQNA

Bahrain, la rivolta di cui non si deve parlare

1:56 - April 07, 2017
Notizie ID: 3481526
Iqna-In Bahrain sono in corso dal 2011 massicce proteste popolari contro il regime degli Al Khalifa, la famiglia reale che regge dispoticamente il piccolo Paese del Golfo Persico.

Bahrain, la rivolta di cui non si deve parlare

Diciamo subito che il sempre più vasto dissenso non è di origine confessionale, è piuttosto la protesta delle vaste fasce emarginate della popolazione di un Paese dove la ricchezza (tanta) è appannaggio di pochi, e si basa su sfruttamento e macroscopiche diseguaglianze. Il fatto che la gran parte di chi è tenuto nel disagio sia sciita, non caratterizza politicamente la protesta a cui stanno aderendo numerose frange sunnite liberali e di sinistra.

Dinanzi a un movimento sempre più ampio e radicato, il regime di Al Khalifa (e l’Arabia Saudita senza il cui appoggio determinante sarebbe da tempo collassato) ha reagito in due modi: da un canto con una repressione feroce e sanguinaria, dall’altro con una campagna di disinformazione mediatica sostenuta dagli organi di stampa sauditi e Usa (che di fatto condizionano l’informazione globale) tesa a qualificare proteste di massa per reclamare i più elementari diritti civili e giustizia sociale come sollevazioni confessionali ispirate dall’Iran.

Per comprendere come una tale versione sia infondata, basta leggere le conclusioni della Commissione indipendente d’inchiesta sul Bahrain, che non solo non ha trovato alcun legame fra le sollevazioni popolari e l’Iran, ma definisce totalmente infondate le voci diffuse d’infiltrazioni iraniane fra i movimenti di protesta. Inutile dire come le conclusioni della Commissione siano state sepolte nel silenzio dei media internazionali, troppo occupati a diffondere la vulgata imposta da Riyadh e Washington.

D’altronde, la bugiarda tesi che le rivolte popolari fossero ispirate e manovrate da Teheran, ovvero si trattasse di minacce portate da una potenza straniera alla stabilità del Bahrain, è servita a giustificare l’invio di truppe (soprattutto saudite ed emiratine) da parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo per reprimere nel sangue le proteste. Un contingente cresciuto nel tempo, e divenuto nei fatti una forza di occupazione che ha trasformato il piccolo emirato in un protettorato di Riyadh.

Il fatto è che, alla paura delle petrodittature verso una protesta che chiede democrazia, diritti civili e giustizia sociale, istanze che se non fossero schiacciate minaccerebbero la vita stessa dei regimi corrotti del Golfo, si è aggiunto il peso delle sconfitte che questi hanno subito nei teatri siriani ed iracheni. Sconfitte che hanno distrutto i loro progetti di egemonia ed accresciuto il peso politico dell’Iran nella regione.

Il riconosciuto ruolo di crescente potenza regionale acquisito da Teheran, fa temere a Riyadh ed alle altre capitali del Golfo che i movimenti di protesta del Bahrain possano realmente guardare verso la Rivoluzione Islamica come esempio, e per averne un appoggio politico che squarci la congiura del silenzio che li isola.

Del resto, per i sauditi e i loro satelliti, associare i moti popolari in Bahrain con un presunto espansionismo iraniano serve ad avere la copertura politica e mediatica dell’Occidente. In ogni caso, per gli Stati Uniti puntellare il regime di Al Khalifa è strategico, come pure per l’Inghilterra (a Manama c’è la sede della V^ Flotta Usa ed è in costruzione una base militare per la Marina britannica).

Per rafforzare la narrazione di trame iraniane tese a destabilizzare il Bahrain, il Ministero dell’Interno dell’emirato ha recentemente dichiarato di aver smantellato una cellula terroristica legata alle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (Irgc), che ne avrebbero addestrato i componenti insieme a Kataib Hezbollah, una milizia irachena. Inutile provare a verificare notizie, peraltro seccamente smentite da Teheran, che più che altro hanno il sapore di provocazioni preconfezionate.

Resta il fatto che, malgrado la brutale repressione, in Bahrain crescano le manifestazioni di dissenso coinvolgendo sempre nuove fasce di popolazione. Per il regime degli Al Khalifa e i suoi sostenitori, che non riescono a venire a capo delle proteste, è una situazione di crescente imbarazzo che sta trovando nella persona di Sheikh Isa Qassim l’emblema. Isa Qassim, figura leader della comunità sciita, è stato posto sotto processo per colpire un simbolo; il fatto che non si sia piegato al regime ne ha fatto una bandiera sempre più scomoda del dissenso, tanto da aver costretto le autorità a rinviare l’inizio del dibattimento quattro volte per evitare lo scoppio della collera popolare.

Malgrado le menzogne della disinformazione, la violenza del regime e dei suoi alleati e la consueta complicità dei Governi occidentali dinanzi ai petrodollari, in Bahrain il movimento di protesta continua ad allargarsi. Con tutta probabilità, l’emirato sarà presto la prossima tappa del radicale mutamento che sta capovolgendo i passati equilibri del Medio Oriente, decretando la fine di regimi corrotti e ridimensionando enormemente il potere di chi pensava di detenerlo per sempre.

di Salvo Ardizzone
ilfarosulmondo


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