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La lancia del genocidio – Bruxelles converge con Khartoum sui rifugiati, e con Abu Dhabi sugli Huthi

1:01 - May 11, 2017
Notizie ID: 3481670
Iqna - Le monarchie del Golfo non sono riuscite a vincere la guerra contro gli Huthi, facendosi invece coinvolgere in un costoso conflitto dalle prospettive poco chiare per la penisola arabica.

La lancia del genocidio – Bruxelles converge con Khartoum sui rifugiati, e con Abu Dhabi sugli Huthi

L’Arabia Saudita sta cercando di porre fine alla guerra in Yemen, che si mette sempre peggio, soprattutto a causa del diretto conflitto con gli Emirati Arabi Uniti. Abu Dhabi si va infatti orientando verso la separazione dello Yemen del Sud, e verso il dominio sui porti del Mar Rosso e dello stretto di Bab el Mandeb, in alleanza con l’Egitto, il che è in contrasto con gli interessi sauditi. 

L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti soffrono la carenza di forze militari in Yemen, che hanno allora trovato in Sudan, facendo azione di lobby negli Stati Uniti per il ritiro delle sanzioni. Esaminiamo la situazione, basandoci sui materiali degli esperti dell’Istituto del Medio Oriente A. Bystrov, P. Ryabov e Yu. Scheglovina.

 

Le contrattazioni tribali

Le forze governative yemenite, con l’appoggio della coalizione araba, si preparano ad espugnare la città portuale di Hodeida in mano agli Huthi. Il ritardo della seconda fase dell’operazione "Lancia d’oro” (la cui prima fase si è conclusa con la conquista della città portuale di Mokha sul Mar Rosso ai primi di gennaio), il cui scopo è tagliare l’accesso degli Huthi al mare e ripristinare il controllo delle autorità yemenite sullo stretto di Bab el-Mandeb, è stato causato dal rafforzamento del presidio di Hodeida da parte delle forze ribelli e delle truppe della Guardia repubblicana dell’ex presidente A. Saleh. Per gli Huthi, il porto è la principale fonte di armi e munizioni. Esiste infatti un’intricata rete di tunnel sotterranei, costruiti con l’assistenza di consulenti di Hezbollah. Inoltre, l’Iran ha acquistato dalla Corea del Nord una partita di sistemi missilistici trasportabili (MANPADS) e di sistemi di difesa aerea fissi, che sono già in viaggio verso lo Yemen. Dopo la caduta di Mokha, il porto di Hodeida è diventato lo snodo principale per il rifornimento di armi e munizioni. Il trasporto dei MANPADS può essere effettuato passando per gli islamisti somali dell’Al-Shabab sul Mar Rosso, oppure transitando per l’Oman.

Le monarchie del Golfo non sono riuscite a vincere la guerra contro gli Huthi, facendosi invece coinvolgere in un costoso conflitto dalle prospettive poco chiare per la penisola arabica.

L’Arabia Saudita si è trovata in Yemen in una situazione pietosa, perché Riyadh ha cambiato l’usuale pratica di corruzione dei principali gruppi tribali del paese. Le tribù (principalmente gli Hashid) hanno trovato uno sponsor in Qatar. I leader del partito Islah e di questo gruppo tribale, i fratelli Ahmar, sono stipendiati da Doha. I tentativi di Riyadh di rilanciare il meccanismo dell’acquisto selettivo della lealtà delle tribù yemenite non hanno funzionato. A quanto pare, è stato deciso di non lesinare, nonostante il deficit di bilancio. Per questo, il 6 aprile a Riyadh è stato organizzato il Congresso degli sceicchi Hashid. Ogni partecipante, indipendentemente dal rango e dallo status, ha ricevuto 200 mila rial sauditi (circa 70 mila dollari). Al termine del congresso, il cui compito era di convincere gli sceicchi a non appoggiare gli Huthi, le personalità più significative delle élite tribali hanno ottenuto le loro buste. Questa tattica è costosa: le offerte devono essere effettuate con regolarità, altrimenti non ci sarà alcun risultato.

 Per garantire i contatti con i leader tribali, i sauditi hanno paracadutato militari nei pressi di Sana’a, per organizzare sacche di resistenza della guerriglia. Per Riyadh è importante la lealtà a lungo termine delle tribù. Nell’entourage del principe ereditario e ministro della Difesa M. Ben Salman si discute se sia necessario permettere agli Emirati Arabi e alle forze della resistenza sud-yemenite a loro fedeli di prendere Hodeida e poi assediare Sana’a, il che rafforzerebbe la loro influenza nel paese nel suo complesso, e non solo nel Sud. Riyadh non ha molta scelta: il regno cerca di portare a termine la campagna yemenita con un grande sforzo finanziario.

 

Gli algoritmi di riserva

La posizione degli Stati Uniti è caratterizzata dalla retorica anti-iraniana della Casa Bianca, e dalla dichiarazione del Pentagono di abolire alcune sanzioni contro i sauditi: l’ammissione dei sauditi a dati di intelligence spaziale ed elettronica, e la concessione di droni e alcuni tipi di missili. Il loro obiettivo è la rianimazione delle relazioni strategiche con i sauditi per mantenere la stabilità regionale e per il contenimento dell’Iran. Il conflitto nello Yemen viene considerato dagli americani come un modo alternativo di fare pressione su Teheran. L’idea dell’amministrazione Trump di rivedere gli accordi sul programma nucleare iraniano ha riscontrato una forte reazione nella UE. In questo caso, gli Stati Uniti, nonostante la retorica anti-iraniana, hanno mantenuto il programma Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) [Piano di Azione Complessivo Integrato], approvato da Washington e Teheran due anni fa per coordinare il ritiro delle sanzioni. Washington ha reagito freddamente agli appelli di Bin Salman di chiudere questo programma. L’algoritmo previsto all’inizio non funziona, ma rimane una variante di riserva per tenersi in contatto con Teheran.

Gli americani sono spinti a contrastare una presenza iraniana in Yemen per gli attacchi alle loro navi nel Mar Rosso e la minaccia al traffico navale nello stretto di Bab el-Mandeb.
I sette droni iraniani catturati dai militari degli Emirati sono la prova della crescente attività di Teheran in Yemen. L’intelligence degli Stati Uniti la collega con la riunione della dirigenza degli Huthi e il capo dell’unità speciale dei Pasdaran Al-Quds, il generale K. Soleimani. Gli iraniani hanno promesso di aumentare il sostegno con armi e consulenti.

La situazione sul fronte yemenita continua a languire. Gli Huthi hanno condotto con successo una serie di operazioni offensive in provincia di Sa’da. I sauditi hanno risposto con massicci bombardamenti nelle loro aree di avanzamento, a nord di Sana’a. Dopo la presa della costa del Mar Rosso intorno alla città di Taiz e della città di Mokha da parte delle truppe degli Emirati Arabi Uniti, insieme con le milizie sud-yemenite a loro fedeli, si parla di un imminente attacco a Hodeida. Le forze della coalizione sono a 120 chilometri dal porto. Ad Abu Dhabi non sono interessati a fare da soli, ma se gli Stati Uniti prenderanno parte all’operazione, gli Emirati saranno di nuovo in gioco. Con il consenso della Casa Bianca a un’operazione limitata in Yemen, la coalizione araba comincerà a combattere vicino Hodeida. La caduta di questo porto vorrebbe dire il blocco di tutti gli approvvigionamenti per gli Huthi, poiché è attraverso di esso che viene effettuato il contrabbando nel paese, e anche l’80 per cento dei prodotti agricoli arriva in Yemen via mare.

 

I fantasmi sudanesi

Khartoum, in accordo con Abu Dhabi, prevede di collocare fino a seimila Janjaweed ad Aden. I Janjaweed (fantasmi a cavallo) sono le milizie irregolari delle tribù arabe provenienti dalla regione sudanese del Darfur, e sono lo strumento più efficace per combattere i ribelli. Negli anni 2003–2013 hanno distrutto le basi dei ribelli nel Darfur, ed effettuato la pulizia etnica: per questo le autorità sudanesi e i comandanti dei Janjaweed sono finiti nelle liste dei criminali di guerra della Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aia.
 Questo non ha impedito ai vertici della UE nel 2016 di chiudere gli occhi sul fatto che Khartoum usi i Janjaweed nella lotta contro l’immigrazione clandestina dall’Africa verso la UE (vie che attraversano il Nord Darfur sfociando in Libia) e di finanziare questi programmi. Questa esperienza ha spinto gli Emirati Arabi Uniti a sperimentare l’impiego dei "fantasmi” in Yemen. Prima di loro in Yemen c’erano forze sudanesi regolari: tremila militari, che non hanno però partecipato ai combattimenti. Come dicono in Yemen, il compito principale dei sudanesi era di sposare una donna del posto ed emigrare in Arabia Saudita.

 I Janjaweed sono ora ufficialmente integrati nelle Forze di Supporto Rapido (RSF). A febbraio è stato raggiunto un accordo sulla loro destinazione in Yemen, durante un vertice tra il principe ereditario degli Emirati, Mohamed bin Zayed Al Nahyan, e il presidente sudanese Omar Al-Bashir. Abu Dhabi ha avanzato una richiesta di "assistenza immediata”. Il corpo di spedizione sudanese in Yemen sarà guidato dal comandante del RSF M. Hamdan Dalga (detto "Hemiti”). Costui nel 2016, accompagnato dall’inviato speciale del presidente sudanese J. Osman Ahmed al-Hussein, si è recato più volte a Riyadh e ad Abu Dhabi, dove ha discusso le condizioni dell’impiego dei Janjaweed e del finanziamento delle operazioni. La base del corpo di spedizione sarà costituita dai combattenti della tribù dei Rizeigat, da cui proviene lo stesso Hemiti. Il finanziamento della formazione e delle attrezzature dei mercenari è a cura di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti; gli addestramenti avranno luogo in Darfur. 

Uno dei partner principali di Hemiti è il capotribù dei Makhami, il fondatore dei Janjaweed M. Hilal. I due leader dei "fantasmi” sono soci nel business delle miniere d’oro nel Nord Darfur. Hilal è una delle figure di rilievo tra i cercatori d’oro di questa regione, e come tale viene menzionato in un rapporto speciale dell’ONU, che giunge alla conclusione che la lotta per le miniere è una delle principali cause dell’instabilità del Darfur. Entrambi sono nella lista di criminali di guerra della Corte Penale Internazionale, e sono sotto sanzioni internazionali. Sotto il loro controllo sono circa 20 mila persone.

Mandando i Janjaweed in Yemen, il presidente sudanese al-Bashir risolve una serie di problemi. Sottolinea la stretta alleanza tra l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Sudan, il che è importante in termini di assistenza finanziaria e diplomatica per mantenere la stabilità economica in Sudan; è importante anche per le lobby presso gli Stati Uniti e la UE che cercano di togliere le sanzioni contro il Sudan; finanzia l’RSF, tenendo conto dei problemi di bilancio. Comunque il ruolo dei Janjaweed nella lotta contro gli Huthi è estremamente problematico. Per i sudanesi lo Yemen è una terra straniera, e se tenteranno di usare lì i loro metodi di "pacificazione”, saranno uccisi.

 Il numero dei "fantasmi” inviati in Yemen indica che Arabia ed Emirati stanno cercando di ridurre al minimo il grado di coinvolgimento delle proprie forze nel conflitto yemenita. Inoltre, i mercenari non possono essere considerati come una forza d’impatto nel presunto attacco su Sana’a e su Hodeida. Sono forze irregolari e armate non pesantemente – di solito utilizzano delle Jeep con mitragliatrici. I Janjaweed in Yemen saranno principalmente impiegati per monitorare il confine con l’Arabia Saudita.

 

La caccia con i soldi della UE

Mentre l’accordo in materia di immigrazione tra UE e Turchia funziona, il "transito africano” attraverso il Sudan e la Libia è diventato la principale rotta per i rifugiati illegali. Bruxelles ora deve affrontare un problema di contrasto al traffico di clandestini che differisce dal modello turco. Ciò è dovuto alla mancanza di un governo forte ed efficace in Libia, che non permette di stroncare il flusso illegale di armi, droga e immigrati. L’assenza di un partner negoziale in Libia ha costretto gli europei a cercarlo in Sudan. Attraverso questo paese, e quindi attraverso il confine tra Sudan e Libia, passa la rotta tradizionale del contrabbando dall’Africa alla UE.

 Il croato N. Mimica, Commissario speciale della UE per lo sviluppo, ha cercato per tutta la primavera e l’estate del 2016 di persuadere le autorità di Khartoum, nel tentativo di raggiungere un accordo per frenare i canali di immigrazione irregolare proveniente dall’Africa. Non è sembrato imbarazzato di trattare con un regime criminale dal punto di vista di Bruxelles, il cui presidente al-Bashir e il suo entourage, in base al verdetto della Corte Penale Internazionale, sono accusati di genocidio, e secondo la versione di Washington, rappresentano "una minaccia alla sicurezza nazionale degli USA”. Il prezzo del coinvolgimento del Sudan nella lotta contro l’immigrazione clandestina è per il momento di 140 milioni di euro sotto forma di sovvenzioni speciali della UE, trasferiti a Khartoum in due tranche. Sorprendentemente, i banchieri della UE non hanno avuto timore delle accuse di collaborazione illegale con un paese sotto sanzioni. 

Le misure adottate dalle autorità sudanesi, per le quali hanno ricevuto il denaro dalla UE, consistono nello sparare ai profughi nel loro cammino verso la Libia. Formalmente, si prevede l’arresto e la deportazione dei migranti in regioni desertiche del Sudan, per una "detenzione preventiva”, ma dove siano questi campi per la detenzione temporanea degli arrestati, e chi ci sia arrivato, non è dato sapere, e le sovvenzioni della UE sono destinate anche all’allestimento di campi di filtrazione. Durante la primavera-estate del 2016, secondo le autorità sudanesi, sono stati arrestati più di 300 immigrati illegali nella zona di Al-Sheverlit, sul confine libico-sudanese. Le operazioni di intimidazione si svolgono sotto la supervisione di Hamdan Dalgo, che è ai vertici del National Intelligence e Security Service (NISS) del Sudan, ed è al comando delle forze del supporto rapido (RSF). La maggior parte dell’RSF è costituita dai Janjaweed, che vi sono confluiti nel 2013. Tra i loro compiti c’è anche il pattugliamento del confine, soprattutto nel Nord Darfur, sotto il comando di Hemiti,
 uno nella lista degli accusati della CPI. Oltre che di genocidio, i suoi subordinati sono accusati dalla magistratura europea di rapine e bracconaggio nella Repubblica Centrafricana. Nel 2014, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sudan, il ghanese M. Ibn Shambas, ha cercato di esporre queste accuse, ma il generale A. Abdelazaiz, ai vertici del NISS, ha preso Hemiti sotto la sua protezione. Il generale, che era tra i fondatori dell’RSF, l’ha incaricato di reclutare nuovi membri dei Janjaweed. Di conseguenza, sono state reclutate seimila persone.

 

I tagliagole utili

Sempre in tema di collaborazione dei servizi segreti occidentali con le strutture più odiose delle forze di sicurezza sudanesi, che secondo i verdetti della CPI sono dei criminali, notiamo che il capo del National Intelligence e Security Service (NISS) del Sudan, M. Atta, il 27 marzo ha fatto visita a Washington, su invito personale del capo della CIA M. Pompeo. E’ stato ricevuto anche dal direttore dell’FBI J. Comey e dal capo dell’NSA M. Rogers. Si noti che il NISS è stato l’organizzatore e il curatore principale dei gruppi dei Janjaweed. La retorica accusatoria di Washington contro i paesi visitati da al-Bashir si è immediatamente azzittita. Ad esempio, la Giordania l’ha accolto a marzo nell’ambito della sessione della Lega Araba, e ciò non ha suscitato nessuna lamentela dalla Casa Bianca, anche se in precedenza al-Bashir è stato definito da Washington come "incarnazione del diavolo” e "criminale di guerra”.

 Ora il "cattivo” è diventato il presidente della Siria B. Assad. Ma anche lui, se farà amicizia con Riyadh e litigherà con Teheran, per gli Stati Uniti sarà di nuovo un "bravo ragazzo”. Questo è quanto è successo con il presidente sudanese, che era "cattivo” quando era amico dell’Iran, ed è diventato "buono” quando, in cambio di un aiuto finanziario, è entrato nell’orbita dell’Arabia Saudita, così strettamente che ha accettato di inviare in Yemen, come parte della coalizione araba, cinquemila soldati e cinquemila Janjaweed. La svolta degli americani è stata possibile grazie alla richiesta del principe ereditario e ministro della Difesa saudita M. Bin Salman, espressa nel corso di un recente incontro a Washington. Il presidente Trump ha promesso non solo di aumentare la cooperazione con il Sudan nel campo della sicurezza, ma anche di rimuovere tutte le sanzioni entro giugno. La ragione è semplice – Trump ha annunciato una politica di rinnovo della partnership strategica con Riyadh, e l’inizio di un riavvicinamento con gli "amici degli amici”.

 Da quando al-Bashir ha spodestato il leader carismatico dell’Internazionale Verde e socio di Osama bin Laden, H. Al-Turabi, tra la CIA e il NISS c’è stato uno scambio di informazioni sulle attività degli islamisti di tutto il mondo.

I sudanesi sono stati e continuano a essere "manovalanza” nelle Fondazioni delle monarchie arabe e nelle infrastrutture sociali islamiche in tutto il mondo musulmano, anche nei punti caldi.

I medici sudanesi sono tra i più numerosi negli ospedali nelle zone di conflitto. Per questo, tempo fa ci fu uno scandalo quando fu scoperto che essi avevano lavorato presso l’ospedale dello Stato islamico in Siria, e che tra di loro c’era la figlia di un alto funzionario. Lo scandalo fu messo a tacere dal NISS, cancellando i nomi dei medici dai media sudanesi. Gli esperti concordano sul coinvolgimento dei servizi di sicurezza sudanesi nell’introduzione di agenti sotto copertura tra le fila dell’ISIS. Per questo il NISS è particolarmente prezioso per gli americani, che non hanno una loro propria rete di agenti negli ambienti islamisti. E le informazioni dei sudanesi sono preziose. Misero in guardia in anticipo gli americani sugli attentati dell’11 settembre, ma la CIA non gli credette. C’è anche una base di intelligence elettronica dell’NSA presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Khartoum – la più grande della regione e funzionante anche al culmine delle sanzioni e dei verdetti di accusa della CPI.

 A quale accordo sono giunti americani e sudanesi? Se si dà credito al rapporto inviato a Riyadh dall’ambasciata saudita in Sudan dopo la visita di Atta negli Stati Uniti, la CIA e il NISS hanno firmato alcuni memorandum segreti sul "rafforzamento della collaborazione nel campo dell’intelligence”. L’oggetto principale dell’accordo è un’operazione congiunta contro l’ISIS, Al-Qaeda e la Fratellanza Musulmana. Il regime di Khartoum si posizionava in passato come un sostenitore dei Fratelli, quindi la notizia probabilmente non farà piacere al Qatar e alla Turchia, che appoggiano questo movimento.

 Dal documento si apprende che, a maggio, sarà in visita a Khartoum uno dei dirigenti della CIA – G. Haspel, che organizzerà la collaborazione con i colleghi sudanesi. In questo caso, si tratta non solo di scambio di informazioni, ma anche di operazioni di agenti sudanesi nelle zone calde, e lo svolgimento di operazioni per conto della CIA. Sarà organizzata la collaborazione con i ribelli della Lord Resistance Army (LRA), che agisce in Uganda. Il NISS ha una buona rete di agenti infiltrati, e nel periodo dell’aspro confronto con l’Uganda ha utilizzato le truppe dell’LRA per destabilizzare il regime ugandese di Yoweri Museveni. Ovviamente, gli americani utilizzeranno le opportunità dell’LRA attraverso il NISS. 

Da tutto ciò che è stato detto si possono trarre conclusioni non molto lusinghiere sia per l’Unione europea e gli Stati Uniti, sia per la coalizione araba e la sua gestione della guerra in Yemen, in particolare per gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Per quanto riguarda lo Yemen, le monarchie del Golfo non solo non sono riuscite a vincere la guerra contro gli Huthi e le forze fedeli all’ex presidente Saleh, ma si sono anche fatte coinvolgere in un conflitto lungo e costoso, che interessa anche il loro territorio, con conseguenze imprevedibili per la stabilità di tutta la penisola arabica. Allo stesso tempo, l’Iran – che sostiene gli Huthi – utilizza in questa guerra alleati come l’Hezbollah libanese, con il trasferimento di tecniche (gallerie in aree urbane) utilizzate nella lotta contro Israele, del tutto sconosciute agli eserciti della coalizione araba, che non sanno come utilizzarle.

E si potrebbe poi parlare anche della violazione del diritto internazionale, del siluramento del sistema della CPI e delle Nazioni Unite in generale, da parte di Bruxelles, di Washington, di Riyadh e di Abu Dhabi, e del coinvolgimento in un’azione militare in Yemen dei Janjaweed sudanesi, che svaluta tutti i tentativi di combattere il genocidio su scala globale.

Articolo di Yevgeny Satanovsky pubblicato su News Front il 18 aprile 2017
Traduzione in Italiano a cura di Elena per  http://sakeritalia.it

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