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La soluzione dei “due popoli, due stati”: un’analisi giuridica e politica

23:56 - August 13, 2025
Notizie ID: 3491905
Iqna - Per decenni, la formula dei “due popoli, due stati” è stata presentata come la via ufficiale per risolvere la questione palestinese, sostenuta dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Tuttavia, un’analisi giuridica e storica rivela che questa proposta non è solo difficilmente realizzabile, ma appare del tutto insostenibile alla luce del diritto internazionale e della realtà geopolitica contemporanea

La soluzione dei “due popoli, due stati”: un’analisi giuridica e politica

 

Di Falastin Dawoud.  Per decenni, la formula dei “due popoli, due stati” è stata presentata come la via ufficiale per risolvere la questione palestinese, sostenuta dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Tuttavia, un’analisi giuridica e storica rivela che questa proposta non è solo difficilmente realizzabile, ma appare del tutto insostenibile alla luce del diritto internazionale e della realtà geopolitica contemporanea. Tale insostenibilità deriva da tre fattori principali: l’impossibilità per entrambe le parti di soddisfare i criteri di statualità previsti dalla Convenzione di Montevideo del 1933, l’assenza di una piena sovranità palestinese a causa dell’occupazione militare israeliana e la costante violazione di norme imperative di diritto internazionale da parte dell’entità sionista (jus cogens), che rende illegittima qualsiasi partizione territoriale imposta.

La Convenzione di Montevideo stabilisce quattro criteri essenziali affinché un’entità possa essere considerata uno Stato: 1) una popolazione permanente, 2) un territorio definito, 3) un governo effettivo, 4) la capacità di intrattenere relazioni internazionali.

Alla luce di questi parametri, Israele e Palestina presentano gravi carenze.

Per quanto riguarda Israele, il primo requisito – la popolazione permanente – appare distorto dalla sua struttura giuridica e sociale. L’ordinamento israeliano, attraverso la Legge del Ritorno del 1950, concede automaticamente la cittadinanza a qualunque ebreo nel mondo, anche privo di legami concreti con il territorio, mentre nega il diritto al ritorno ai palestinesi espulsi durante la Nakba del 1948, nonostante la loro radicata presenza storica nella regione. Questo approccio introduce un criterio di appartenenza etno-religioso piuttosto che civile, in aperta tensione con l’idea di uno Stato basato sulla parità tra cittadini.

Il secondo criterio – un territorio definito – è problematico poiché Israele non possiede confini ufficialmente riconosciuti dalla comunità internazionale. Dal 1948 ad oggi, il Paese ha costantemente ampliato la propria estensione, occupando illegalmente, non solo i territori del ‘48, ma nel 1967 la Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est e le Alture del Golan, e proseguendo fino a oggi con annessioni de facto attraverso l’espansione di insediamenti coloniali in violazione della Risoluzione ONU 2334.

Il terzo criterio, relativo all’esistenza di un governo effettivo, solleva interrogativi sulla stabilità e la rappresentatività del sistema politico israeliano. Nonostante le apparenze democratiche, il potere è stato dominato per decenni da leadership e coalizioni caratterizzate da politiche nazionaliste ed escludenti, con l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu alla guida quasi ininterrottamente dal 1996. La riforma giudiziaria del 2023, percepita come un indebolimento dello stato di diritto, ha suscitato proteste interne di vasta portata, mentre sul piano internazionale Israele è oggetto di indagini della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e apartheid.

Infine, il quarto criterio di Montevideo – la capacità di intrattenere relazioni internazionali – se da un lato sembra soddisfatto dalla rete di alleanze diplomatiche e militari di Israele, dall’altro risulta compromesso da una dipendenza strutturale dagli Stati Uniti, che forniscono 3,8 miliardi di dollari annui in aiuti militari, e dalla sistematica violazione delle risoluzioni ONU, con oltre duecento provvedimenti ignorati.

Sul versante palestinese, i criteri di statualità risultano anch’essi disattesi, seppure per ragioni opposte. La Palestina è formalmente riconosciuta da numerosi Stati e dall’ONU come “Stato osservatore non membro”, ma la sua sovranità è fortemente limitata

dall’occupazione israeliana. Il territorio è frammentato: la Cisgiordania è suddivisa in zone A, B e C, con quest’ultima – pari all’80% della superficie – sotto controllo militare israeliano; Gaza è sottoposta a un blocco dal 2007, descritto dalle Nazioni Unite come una “prigione a cielo aperto”; Gerusalemme Est è stata annessa unilateralmente da Israele nel 1980, in violazione del diritto internazionale.

Il governo palestinese soffre di una duplice crisi di legittimità e funzionalità. L’Autorità Nazionale Palestinese, nata dagli Accordi di Oslo, è spesso accusata di corruzione e collaborazione con l’occupazione, mentre Hamas – eletto democraticamente nel 2006 nella Striscia di Gaza – è considerato da molti Paesi occidentali un’organizzazione terroristica, con conseguente isolamento politico. Questa divisione interna compromette ulteriormente la capacità palestinese di agire come soggetto sovrano unificato.

L’analisi storica delle origini di Israele rafforza la tesi della fragilità giuridica della soluzione a due Stati. La nascita dello Stato israeliano nel 1948 è avvenuta attraverso una dichiarazione unilaterale di indipendenza di David Ben Gurion, preceduta da un processo di pulizia etnica noto come Nakba, durante il quale circa 750.000 palestinesi furono espulsi e oltre 500 villaggi distrutti. Nessun trattato internazionale ha mai formalmente legittimato l’annessione dei territori occupati, mentre le risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – in particolare la Risoluzione 194 sul diritto al ritorno – sono rimaste inapplicate.

Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che la soluzione dei “due Stati” non possiede basi concrete né dal punto di vista giuridico né da quello politico. Israele non ha mai mostrato un reale interesse a consentire la nascita di uno Stato palestinese sovrano e contiguo. L’unica prospettiva coerente con il diritto internazionale e con i principi di giustizia sembra essere un processo di decolonizzazione che ponga fine al regime di apartheid. 

 

Fonti:

 Convenzione di Montevideo (1933); Risoluzioni ONU 181, 194, 242, 338, 2334; Legge del Ritorno (1950); UNRWA, Report on Palestinian Refugees (2023); Human Rights Watch, A Threshold Crossed (2021); Amnesty International, Israel’s Apartheid Against Palestinians (2022); ICC, Case No. ICC-01/18 – Situazione in PalestinaUN OCHA, Gaza Blockade Report (2023); ICJ, Advisory Opinion on the Wall (2004); Ilan Pappé, The Ethnic Cleansing of Palestine (2006); Edward Said, The One-State Solution (1999); Norman Finkelstein, Image and Reality of the Israel-Palestine Conflict (2003). 

 

 

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