Il Libano, dieci giorni dopo le bombe umane che hanno devastato Burj el Barajneh, si stringe intorno a un bimbo di tre anni, Haidar Mustafa. Il 12 novembre, quando i kamikaze dell’Isis hanno di nuovo portato la morte tra gli abitanti della periferia sud di Beirut, uccidendone 43, Haidar si è ritrovato solo e ferito gravemente in un letto d’ospedale. I suoi giovani genitori sono stati dilaniati dalle esplosioni, come tanti francesi a Parigi sono stati fatti a pezzi dalle bombe umane e abbattuti da raffiche di mitra. La prima esplosione è avvenuta davanti a una moschea sciita. La seconda, 7 minuti dopo, all’interno di un forno, ha colpito i passanti accorsi per offrire aiuto alle vittime della prima bomba. Eppure l’Europa sembra guardare con indifferenza alle vittime arabe delle stragi di Daesh, lo Stato islamico, nonostante i jihadisti di questo gruppo e di altre organizzazioni radicali sunnite abbiano trascorso gli ultimi anni ad ammazzare più altri musulmani, sciiti e membri di minoranze che non riconoscono come islamiche, che i cristiani e gli occidentali.
Haidar non rimarrà solo e sarà seguito nei prossimi anni grazie a due donne. Alla libanese-canadese Maya Cheatani, che ha istituito un fondo (GoFundMe) a suo favore, e a Rana Harbi, una giornalista del quotidiano al Akhbar di Beirut, molto seguita su twitter, che è riuscita ad organizzare un incontro tra il bimbo ferito e una delle stelle del calcio mondiale, Cristiano Ronaldo del Real Madrid. «Sono senza parole. Non posso ancora credere che Haidar potrà effettivamente incontrare Cristiano Ronaldo. Grazie a tutti. Mai sottovalutare il potere di un tweet», ha scritto la giornalista. Maya Cheatani ha già raccolto 17mila dollari, che serviranno anche a garantire gli studi al bambino rimasto orfano. «Niente potrà sostituire la presenza dei genitori ma la nostra umanità può contribuire a rendere la vita un po’ più facile a un bimbo al quale quelle bombe hanno tolto tutto», ha commentato.
La storia di Haidar è il simbolo del Libano e degli altri Paesi arabo-islamici che soffrono le conseguenze dei massacri di Daesh. I media occidentali hanno descritto l’attacco a Burj al Barajneh come un colpo alla «roccaforte di Hezbollah», il movimento sciita libanese alleato del presidente Bashar Assad che combatte in Siria dalla parte dell’esercito governativo. Una descrizione parziale della realtà. «Burj al Barajneh e la periferia sud di Beirut non sono un campo militare di Hezbollah come qualcuno pensa — ci dice Moe Ali, giornalista e analista politico libanese — sono aree dove vivono civili, persone comuni, gente che va al lavoro, con una vita normale. In quella zona inoltre vive mezzo mondo arabo, dai profughi palestinesi a quelli siriani, fino ai manovali giunti da altri Paesi della regione». Le stragi di Parigi hanno suscitato forte emozione anche in Libano, che mantiene legami stretti con la Francia, ma, spiega Moe Ali, «gli Europei devono rendersi conto che Daesh è un pericolo soprattutto per gli arabi e i musulmani e che anche noi desideriamo una vita tranquilla. Occorre mettere da parte l’Orientalismo. Non si può continuare a pensare che i civili in Medio Oriente siano abituati al caos, alla guerra, alla morte. Siamo esseri umani come quelli in Occidente».
Fonte : nena-news