La fine temporanea di una guerra totale attraverso un cessate il fuoco offre l’opportunità di valutarne le conseguenze più profonde, in particolare nell’ambito della cultura e della formazione del discorso. La recente guerra a Gaza, nonostante la sua orribile devastazione umana e il martirio di decine di migliaia di palestinesi innocenti, ha prodotto risultati significativi in termini di costruzione di una narrazione globale e di rafforzamento del discorso di Resistenza contro l’occupazione e le politiche del regime sionista. A questo proposito, si possono identificare dieci importanti risultati culturali e discorsivi:
Il più grande successo della guerra di Gaza è stata la graduale erosione del monopolio dei media tradizionali nel definire la “realtà” del conflitto. Le piattaforme dei social media e i giornalisti locali, soprattutto quelli di Gaza, sono stati in grado di presentare immagini crude, senza filtri e in diretta della realtà sul campo, contraddicendo direttamente le narrazioni ufficiali della parte avversa. Ciò ha ampliato il divario di fiducia tra l’opinione pubblica occidentale e i loro media tradizionali.
Grazie alla perseveranza e alla resilienza dell’Asse della Resistenza, la questione palestinese si è trasformata da “conflitto regionale” a “causa globale”. Le giovani generazioni in Occidente e in altre parti del mondo, utilizzando i moderni strumenti di comunicazione e i social media, hanno iniziato a considerare la Palestina non solo come una questione politica, ma come una sfida di civiltà e di diritti umani. Le diffuse campagne pro-Palestina nelle università e nelle piazze cittadine sono espressioni tangibili di questo cambiamento discorsivo.
Questa guerra ha completamente smantellato la percezione convenzionale di “conflitto ordinario”. Il deliberato attacco a infrastrutture vitali, ospedali e scuole ha proiettato al mondo l’immagine di uno “Stato militarizzato e non convenzionale” piuttosto che di una “vittima del terrorismo”. In termini più chiari, la natura sistematica e duratura della violenza sionista contro i palestinesi è diventata nettamente visibile e globalmente compresa.
Dopo anni di tentativi occidentali di etichettare i movimenti di Resistenza come “terrorismo” attraverso l’influenza dei media mainstream, la narrazione della Resistenza ha riacquistato legittimità. Questa volta, la Resistenza è stata inquadrata non solo come una reazione naturale, ma come un diritto intrinseco di un popolo che vive sotto occupazione, in piena conformità con il diritto internazionale.
La guerra di Gaza è divenuta un punto focale per i “movimenti per la giustizia” globali, rafforzando i legami culturali e discorsivi tra vari gruppi antimperialisti e libertari in tutto il mondo. La Resistenza di Gaza è divenuta il collante comune che unisce i movimenti di liberazione nei cinque continenti, una tendenza destinata a proseguire nel dopoguerra.
Il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds) ha raggiunto livelli di influenza senza precedenti all’interno di istituzioni accademiche, culturali e commerciali. Ciò ha dimostrato che il “soft power della Resistenza” può produrre risultati tangibili attraverso la pressione sociale, creando sfide concrete per i sostenitori del regime sionista nell’arena globale.
I procedimenti giudiziari in istituzioni come la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale hanno trasformato la questione palestinese da puramente politica a un caso giuridico internazionale. A lungo termine, ciò costringerà il regime sionista a rispondere delle proprie azioni in contesti che ha sempre cercato di evitare.
Nonostante il sostegno politico ufficiale al regime, un crescente senso di “vergogna morale” è emerso tra segmenti di intellettuali, artisti e persino dipendenti pubblici nei Paesi che sostengono Israele. Questa divisione interna al blocco occidentale rappresenta un’importante conquista discorsiva che indebolisce la coesione dell’alleanza pro-status quo negli Stati Uniti e in Europa.
Nonostante le differenze regionali, gli eventi recenti hanno ravvivato e amplificato la voce collettiva del mondo islamico a sostegno della Palestina come causa centrale della Ummah musulmana. A livello di base, questa unità ha sfidato le narrazioni divisive che sono state a lungo promosse tra gli Stati della regione.
Tra gli obiettivi principali del regime sionista degli ultimi anni vi è la normalizzazione delle relazioni con gli Stati arabi. Questa guerra ha dimostrato in modo decisivo che finché la questione fondamentale della Palestina rimarrà irrisolta, qualsiasi tentativo di normalizzazione sarà respinto e condannato dall’opinione pubblica delle nazioni musulmane.
Mohammad Mehdi Imanipour, Presidente dell’Organizzazione per la cultura e la comunicazione islamica
www.ilfarosulmondo.it