
Mehdi Daghagheleh, autore, veterano insegnante di Corano e giudice di competizioni internazionali, ha presentato i risultati delle sue ricerche in un saggio intitolato “Fondamenti e componenti dell’innovazione nella recitazione dei qari iraniani”, durante la 20ª sessione specialistica dedicata ai maestri e recitatori distinti del Corano.
Daghagheleh ha iniziato chiarendo il concetto di “innovazione” (Ibda), ricordando un poeta preislamico che sosteneva che ogni forma di innovazione poetica fosse ormai esaurita. “Eppure, nei circa 1.600 anni trascorsi da quella dichiarazione, milioni di versi si sono aggiunti al nostro patrimonio letterario,” ha osservato. “Nel mondo dell’arte, che include la recitazione coranica, non esistono limiti: il potenziale di novità è vasto quanto il numero degli esseri umani.”
Secondo lo studioso, il flusso creativo è continuo, anche se talvolta rallentato dalle condizioni sociali.
Il termine Ibda compare quattro volte nel Corano: due con accezione positiva e due con significato derivato negativo. Per Daghagheleh, Ibda equivale a creatività e novità. “Dal punto di vista dei filosofi e dei commentatori, l’innovazione nel Corano non nasce da un desiderio, ma da una necessità,” ha spiegato, citando il teologo classico Fakhr al-Razi, che definiva l’innovazione divina come “creazione senza materia preesistente, in una dimensione senza spazio né tempo.”
Lo studioso ha sottolineato che, sebbene Ibda sia un attributo divino, Dio ne ha affidato una forma anche agli esseri umani. La differenza principale, ha chiarito, è che l’innovazione divina non richiede alcun presupposto, mentre quella umana si fonda sull’esperienza e procede per tentativi ed errori.
Infine, Daghagheleh ha illustrato le ragioni della forte preferenza dei recitatori iraniani per lo stile egiziano:
Legami musicali storici – “La ragione più importante è il legame storico tra la musica iraniana ed egiziana,” ha spiegato. “Questo ha portato la maggior parte dei qari iraniani a favorire lo stile egiziano rispetto alle scuole irachene o levantine, nonostante la vicinanza geografica.”
Metodo sistematico – “Lo stile egiziano è al tempo stesso sistematico e complesso. Questo consente ai recitatori di avvicinarsi ad esso da diverse prospettive, ed è una delle principali ragioni della varietà nell’imitazione,” ha osservato Daghagheleh. Ha aggiunto che la sua natura strutturata lo rende più semplice da riprodurre.
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“Il nostro gusto acustico nella recitazione è stato coltivato fin dall’infanzia sulla base dello stile egiziano,” ha spiegato Daghagheleh. La tenerezza e la vena malinconica insita nella musica egiziana, ha aggiunto, si accordano con la sensibilità iraniana.
Nonostante l’affinità con lo stile egiziano, Mehdi Daghagheleh ha sottolineato ostacoli significativi al raggiungimento di una vera innovazione.
Rischio di fusione eccessiva – Ha avvertito che insistere troppo nel mescolare diversi stili egiziani per crearne uno nuovo potrebbe rivelarsi controproducente: “Potrebbe portare il pubblico iraniano a non riuscire a connettersi con queste innovazioni nella recitazione.”
Declino del gusto musicale – Ha segnalato un “grave declino” del gusto musicale qualitativo del pubblico iraniano negli ultimi decenni. “Il pubblico iraniano deve coltivare un’ascesi musicale,” ha sottolineato. “Se tentiamo l’innovazione basandoci sull’imitazione di vari stili di recitazione senza un gusto musicale adeguatamente formato, il risultato potrebbe non essere favorevole.”
Differenze di interpretazione – Ha osservato che le diverse modalità con cui i pubblici iraniano e arabo comprendono specifici versetti coranici possono limitare la portata dei recitatori iraniani, soprattutto in contesti internazionali.
Daghagheleh ha raccontato: “Una volta ho recitato i versetti che descrivono l’inferno con un tono mesto, davanti a rinomati recitatori egiziani. Alcuni lo hanno rimproverato, sostenendo che, poiché i versetti riguardano la gente dell’inferno, oggetto dell’ira divina, si dovrebbe usare un tono secco e duro per la loro punizione, non un tono di compassione.”
Infine, lo studioso ha ricordato che le rigide regole del Tajweed costituiscono confini naturali all’innovazione, rendendo difficile superare certi vincoli senza snaturare la recitazione.
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