
Diversi senatori conservatori francesi sono finiti al centro delle polemiche dopo la pubblicazione di un nuovo rapporto che propone misure controverse, tra cui il divieto del velo per le madri che accompagnano le gite scolastiche e la proibizione del digiuno per i minori durante il Ramadan.
La comunità islamica francese denuncia queste iniziative come un uso discriminatorio della laïcité, il principio di laicità dello Stato francese.
Quando, a fine novembre, i senatori conservatori hanno pubblicato il loro rapporto sulla lotta contro il cosiddetto “islamismo”, le proposte avanzate hanno avuto un sapore fin troppo familiare per la vasta e variegata comunità musulmana di Francia.
Il documento, redatto dai membri del partito di destra Les Républicains (LR), elenca 17 misure che spaziano dal divieto del velo per le madri che accompagnano le gite scolastiche alla proibizione del digiuno di Ramadan per i minori di 16 anni. Tra le raccomandazioni figura anche un divieto totale dell’hijab nelle attività sportive, comprese quelle amatoriali, invocando il principio di laïcité, la laicità dello Stato francese.
Secondo i senatori, tali misure sarebbero necessarie per contrastare il “velo delle bambine”, definendo il foulard islamico “una bandiera dell’apartheid sessuale”.
Per i critici, invece, il rapporto rappresenta l’ennesimo segnale di una deriva che prende di mira non l’“islamismo radicale”, ma l’intera popolazione musulmana del Paese — circa cinque milioni di persone su un totale di oltre 68 milioni. Inoltre, sostengono che le proposte violino proprio quella laïcité che dichiarano di voler difendere, limitando la libertà di culto sancita dalla storica legge del 1905.
Il giorno successivo alla pubblicazione del rapporto, leader religiosi musulmani, rappresentanti comunitari e attivisti di base hanno indirizzato una lettera aperta al presidente del Senato Gérard Larcher, anch’egli membro di LR, denunciando la “stanchezza” per la continua “stigmatizzazione” dei musulmani di Francia.
“Questo ennesimo rapporto si inserisce in un modello ormai tristemente noto a milioni di cittadini musulmani francesi: la sistematica strumentalizzazione politica delle loro pratiche religiose”, hanno scritto i firmatari.
La laïcité come arma politica
Gli autori delle proposte sostengono che tali misure siano indispensabili per contrastare l’influenza di ciò che definiscono “islamismo radicale”.
Il 24 novembre, Laurent Wauquiez, capogruppo di Les Républicains all’Assemblea Nazionale, ha presentato un disegno di legge che prevede un divieto totale del velo per le donne sotto i 18 anni.
Come molte delle raccomandazioni contenute nel rapporto del Senato, anche questa proposta sembra entrare in conflitto con l’Articolo 1 della legge del 1905 sulla laicità, che garantisce la “libertà di coscienza” e il “libero esercizio dei culti”, limitabile solo per ragioni di ordine pubblico.
Nicolas Cadène, ex alto funzionario dell’ormai sciolto Observatoire de la laïcité – l’organismo incaricato per anni di consigliare il governo sull’applicazione del principio di laicità – critica duramente le proposte avanzate dai parlamentari di Les Républicains. Secondo Cadène, le misure “prendono di mira una sola fede, una sola categoria di cittadini francesi, e non applicano le stesse regole alle altre religioni. È un evidente caso di disparità di trattamento che viola il principio di uguaglianza”.
A suo avviso, tali iniziative si inseriscono in una tendenza sempre più diffusa tra i politici francesi: utilizzare la laïcité come “strumento per limitare i diritti dei musulmani”.
Il partito di estrema destra Rassemblement National di Marine Le Pen — i cui predecessori ideologici un tempo vedevano la laicità come un complotto anticlericale — ha da anni trasformato le norme secolari francesi in un’arma politica contro i musulmani, spesso confondendo Islam e immigrazione. Una strategia condivisa anche dal suo rivale Éric Zemmour, ex commentatore televisivo e candidato presidenziale, che sostiene che i musulmani debbano scegliere tra Islam e Francia, ignorando la grande maggioranza dei musulmani francesi che rispettano e difendono le leggi e i valori repubblicani.
Anche tra i progressisti di sinistra e centro persistono profonde divisioni su come interpretare la laicità: c’è chi ritiene che lo Stato debba limitarsi a garantire la neutralità religiosa e chi, al contrario, invoca un ruolo più interventista nella sfera pubblica. Le tensioni sono esplose dopo gli attentati contro Charlie Hebdo e quelli del 13 novembre 2015, che hanno alimentato richieste di una “laicità combattiva” per contrastare un’ideologia estremista responsabile di violenze ripetute sul suolo francese.
“È stato un periodo di grande confusione, in cui molti politici hanno sfruttato paure legittime legate al terrorismo per giustificare misure che limitavano le libertà di una parte della popolazione”, osserva Cadène, spesso preso di mira dai sostenitori di questa laïcité de combat, particolarmente influenti durante il primo mandato di Emmanuel Macron (2017-2022).
Le tensioni attorno alla laicità francese si sono acuite negli ultimi anni, alimentate da dichiarazioni e misure politiche che hanno spesso preso di mira simboli e pratiche religiose dei musulmani. Nel 2019, l’allora ministro dell’Istruzione Jean‑Michel Blanquer affermò che “il velo non è desiderabile nella nostra società”, denunciando più volte quelli che definiva gli “effetti devastanti” dell’“islamo‑gauchisme” nelle università — un concetto respinto con forza dalla stragrande maggioranza del mondo accademico. Il suo successore, Gabriel Attal, avrebbe poi vietato l’uso dell’abaya nelle scuole pubbliche, considerandola un indumento incompatibile con la neutralità richiesta agli studenti.
Nel 2021, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin fece approvare una legge contro il cosiddetto “separatismo”, che secondo le organizzazioni per i diritti umani rischiava di stigmatizzare ulteriormente le minoranze, in particolare i musulmani. La norma conferiva allo Stato un controllo più stringente sulle associazioni e sulle ONG. Nello stesso anno, il governo decise di sciogliere l’Observatoire de la laïcité guidato da Nicolas Cadène, accusato dai critici di adottare una visione troppo “morbida” e giuridicamente rigorosa della laicità.
Sondaggi recenti mostrano che l’opinione pubblica francese ha una comprensione solo parziale della laicità, pur ritenendola ampiamente “minacciata”. Questa conoscenza frammentaria di un principio considerato fondante della Repubblica e del vivre ensemble ha favorito l’emergere di interpretazioni concorrenti, spesso in conflitto tra loro, alimentando dibattiti accesi e talvolta situazioni imbarazzanti.
Nel 2019, una suora cattolica si vide erroneamente chiedere di rinunciare all’abito religioso per poter soggiornare in una casa di riposo a Vesoul, episodio che costrinse il sindaco a scusarsi. Pochi giorni dopo, a Digione, un politico chiese a una madre musulmana in gita scolastica di togliere il velo, scatenando un’ondata di polemiche. Nel 2020, diversi deputati abbandonarono l’Assemblea Nazionale per protestare contro la presenza di una rappresentante studentesca che indossava l’hijab.
In nessuno di questi casi, tuttavia, le norme francesi sulla laicità — che impongono la neutralità solo a funzionari pubblici, insegnanti e studenti, non ai cittadini comuni — erano state violate.
Cadène, che lo scorso anno si è candidato senza successo alle elezioni legislative, sostiene che anni di dibattiti sull’Islam in Francia abbiano generato una “grande confusione” attorno alle leggi sulla laicità, spostando il discorso pubblico verso una visione sempre più restrittiva. A suo avviso, le proposte che prendono di mira i musulmani sono non solo discriminatorie, ma anche “controproducenti”, perché alimentano proprio il radicalismo che dichiarano di voler combattere.
“I predicatori radicali si nutrono di questa retorica, che fornisce loro argomenti per sostenere che i musulmani siano discriminati”, afferma. Misure mirate esclusivamente ai musulmani, aggiunge, “non fanno che accentuare il loro ritiro da uno spazio pubblico in cui si sentono esclusi”.
Il ministro dell’Interno Laurent Nunez ha espresso preoccupazione per la proposta di Laurent Wauquiez di vietare il velo alle minorenni negli spazi pubblici, definendo il disegno di legge “fortemente stigmatizzante nei confronti dei nostri concittadini musulmani, che potrebbero sentirsi feriti”.
La sua posizione, tuttavia, non è condivisa da tutto l’esecutivo. La ministra per l’Uguaglianza di Genere Aurore Bergé — responsabile anche della lotta contro le discriminazioni — si è infatti dichiarata favorevole a un divieto del velo per le minorenni negli spazi pubblici, segnando una frattura evidente all’interno del governo sulla gestione della laicità e dei simboli religiosi.
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